domenica 17 gennaio 2010

A lescìa...altro che lavatrice!!!


In questo ultimo mese il mio problema più grosso è quello di far asciugare la biancheria.
Essendo le giornate molto umide, spesso piovose, le giornate di sole si contano su di una mano nell'ultimo mese, mi aggiusto come posso.
Lo stendibiancheria è "fisso" in casa posizionato davanti al termosifone, per accelerare la fase dell'asciugatura. Il contenitore dei panni sporchi è sempre pieno, non riesco a smaltire il cumulo perché il tempo poco clemente non mi dà tregua.
Sono in queste occasioni che mi pongo alcuni interrogativi.
Capita spesso che la mancanza di una qualunque comodità scateni la classica e scontata riflessione:
"Un tempo come si faceva"?
Che siamo abituati a tutte le comodità è superfluo ribadirlo, ma se dovessimo ritrovarci a dover fare come una volta alcune pratiche quotidiane, saremmo in grado di essere in ordine?
Capelli e corpo sarebbero puliti come oggi?
I nostri vestiti sarebbero belli puliti e profumati?
Capita spesso di lasciarsi andare in commenti scontati su come si teneva l'igiene personale non molti decenni fa, ma il più delle volte ci dimentichiamo che le comodità erano praticamente ridotte a zero!
Sul sito di Alberto Cane, Terraligure, ho trovato un pezzo a firma dell'amica Annamaria Sicardi scritto in occasione della mostra dedicata all'acqua dal titolo "L'acqua racconta", tenutasi a Pigna nell'estate del 2003, un pezzo dedicato alla lescia, cioè il grande bucato.
È un pezzo molto interessante perché ci racconta uno spaccato di vita quotidiana senza tante comodità. Leggendolo si capiscono molti perché, uno tra tutti com'era difficile essere sempre in ordine con panni puliti e profumati!
Isolabona, immagine 1900

di Anna Maria Sicardi

In generale, a lescia o il grande bucato si faceva soprattutto durante la bella stagione, dalla primavera all’autunno. Durante l’inverno si lavavano gli abiti, la biancheria, gli indumenti dei bambini, utilizzando soprattutto il lavatoio.
Le donne potevano fare il bucato in diversi luoghi, dipendeva dalle zone dove abitavano e dalle disponibilità dei posti. Cosi tante donne portavano i panni da lavare nelle campagne, dove c’era il pozzo privato, torrentelli e spazio per stenderli. Li portavano nei cavagni sulla testa o sul mulo.
Nel paese c’erano parecchi luoghi per lavare

Nel Nervia
A Giaira (attuale campo sportivo) era il posto il più comodo per lavare, perché c’erano vasti spazi nel fiume e un tempo esisteva un’isola centrale dove si stendevano i panni.
Al Pesciu , un po’ più a monte, sotto la chiesa San Rocco
Sul torrente Luverger
A Gisdeu o Luverger: posto molto soleggiato, l’acqua era tiepida, ma c’ erano pochi lavaui (posti per lavare)
Oppure le donne si spostavano in Lu Tuvu, luogo più vasto dove si potevano anche stendere le lenzuola e i panni contro la roccia quasi verticale
Sul rio Carne, A Carne
Ai ponti, nel bear” del mulino; il vantaggio era che si lavava in piedi!

Il lavatoio, che era alimentato dall’acqua del rio la Valle, e anche dal troppopieno della fontana dei Canui, era una comodità soprattutto d’inverno, ma c’era molta gente quindi si doveva aspettare il turno e l’acqua non era sempre limpida… Le donne che lavavano al lavatoio stendevano i panni sui muri degli orti di Derercà (dietro le case, Corso Isnardi)
Il lavoro consisteva in tre operazioni : lavar, a lescia, rinfrescar

U lavaur è la pietra regolare utilizzata al torrente sulla quale si appoggiavano le ginocchia; alcuni indumenti da lavare servivano da cuscini.
Ogni donna si individuava un lavaur disponibile e nella posizione migliore, atteggiamento che originava inevitabili discussioni….
Si cominciava bagnando le lenzuola. Si insaponavano fino a tre strati sovrapposti, così il sapone usato per quello sopra serviva per quelli sotto: era un modo per risparmiare il sapone e ammorbidire il “più sporco”. Si insaponava con le mani utilizzando sapone nero o sapone di Marsiglia (per i pantaloni, e altri vestiti da uomo, per rimuovere lo sporco, si usava il batturegiu).
In seguito le lenzuola si mettevano al sole adagiate su una pietra. Terminate queste operazione si risciacquava per togliere la prima insaponata e si ripeteva più volte questo procedimento. All’ultima insaponata le lenzuola venivano strizzati di più, operazione che necessitava delle collaborazione di due donne. Si portavano nella cesta fino a casa. Certo che erano un po’ più pesanti che all’andata !

A lescia
A casa, la seconda operazione consisteva nel disporre le lenzuola o i panni nella seglia, secchio di legno con due maniglie laterali e un buco sul fondo chiuso con uno straccio. L’operazione, di solito, avveniva davanti alla cappa del camino. Nel fondo della seglia si mettevano i panni i più grossolani: stracci da cucina, poi altri panni sovrapposti in modo regolare, mentre la biancheria più fine si adagiava in alto.. L’insieme veniva coperto dal curaur de a lescia, una tela speciale (cotone o lino) bagnata. Poi si disponeva un strato di cenere bianca (si utilizzava cenere di rovere o leccio accantonata durante l’inverno). Successivamente in un paiuolo speciale si riscaldava l’acqua su un vivo fuoco, si prendeva l’acqua calda e la si spargeva sulla cenere con un movimento circolare. L’acqua scendeva lentamente, la cenere rimaneva in superficie e la sua azione detergente si verificava. Si continuava a versare dell’acqua finché usciva tiepida dallo straccio che tappava il buco sul fondo. L’acqua colante era recuperata in un recipiente per il lavaggio di sacchi per le olive, di tende da abacchiare… Questa acqua insaponata era chiamata il lesciassu.

Rinfrescar
In seguito si riportavano i panni per risciacquargli un’ultima volta nel fiume o nel bear. Si stendevano al sole, e finalmente quando la lescia era ben fatta si poteva esclamere: u de sciortin a lescia gianca cume in liru!
(mi è uscito un bucato bianco come un giglio!)
Era un lavoro tipicamente femminile! Ogni tanto i mariti aiutavano a portare i cesti pieni di panni che, essendo bagnati, erano pesanti.
Per qualche donna era diventato un mestiere : lavava per i militari, i carabinieri, la finanza. Le più note erano Madalé a Cerigna (fino agli anni 1930), Genia a Viageira (fino agli anni 1940).
Il bucato (italiano), a lescìa (pignasco), a lesciâa (castelvittorio), lëscia (Realdo)
la lessive (francese), la bugado (provenzale) , le leissiéu (in provenzale, l’acqua che passa dal buco della seglia)

11 commenti:

  1. Ah, era dura un tempo!
    Direi che sotto questo punto di vista stiamo molto meglio noi!!
    Per asciugare i panni d'inverno senza riempire la casa di umidità, io ho risolto con un piccolo deumidificatore che metto vicino allo stendibiancheria. Asciuga che è una meraviglia, credimi!
    Ciao!!

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  2. un gesto quotidiano come il "clik" della luce lo rende normale e semplice ma solo quando ci sono dei problemi ti accorgi di quanto sia importante......è cosi in tutto..ma senza andare molto indietro nel tempo come facevamo 15 anji fa senza telefonino, senza satellitare, internet, ecc???

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  3. Quanto hanno dovuto faticare le donne !
    L'unica cosa positiva erano il "comareggiare ", il parlare, la comunicazione nel mentre si faceva il bucato.
    Ho vissuto a lungo in un appartamento umido e per il mio più grande disappunto (essendo estremamente olfattiva) non sono mai riuscita a rendere il bucato profumato.L'unico modo per asciugare bene la biancheria ,in questi casi estremi, è purtroppo l'asciugabiancheria .

    Buona giornata, ciao Roberta !
    Un baciotto

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  4. Ciao Roberta, mi ricordo perfettamente il lavatoio utilizzato dalle donne per il bucato. Era stato costruito su una derivazione del torrente Ceronda, nei pressi della stazione ferroviaria di Venaria.
    Lì veniva fatto il bucato grande,cioè le lenzuola...mentre gli altri capi venivano lavati in un lavello all'esterno della casa!

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  5. questo post mi ha riportato alla mente la "lescia" fatta da mia nonna. era un'impresa, panni stesi al sole mentre la cenere filtrava su altre lenzuola di tela... anche durante l'inverno si andava a lavare al lavatoio pubblico, per fortuna coperto. era un'abitudine comune, nessuno aveva la lavatrice...

    il problema di asciugare la biancheria nei giorni piovosi l'ho risolto facendomi mettere dei fili nel locale caldaia...è una meraviglia...prova!

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  6. nel mio tentativo di trovare il modo di fare il bucato ecologico uso ancora la lisciva (cioè il risultato delle cenere trattato nel mondo che hai raccontato) ovviamente la mia è industriale...buona serata

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  7. nel mio tentativo di trovare il modo di fare il bucato ecologico uso ancora la lisciva (cioè il risultato delle cenere trattato nel mondo che hai raccontato) ovviamente la mia è industriale...buona serata

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  8. A lescia, in Salento si chiamava lissia. Mia nonna mi raccontava un procedimento molto simile a quello da te illustrato. Un grosso contenitore di ruvida e grezza ceramica con il buco sul fondo, chiamato cofanu. L'acqua di scolo veniva adoperata per lavare i capelli, che a detta della mia nonna venivano morbidi e brillanti!

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  9. ti ringrazio mille ed una volta per il complimento che mi hai fatto sai hai detto una cosa bellissima "hai colto l'essenza dell'amore" e io non so spiegare la mia felicità per le tue parole ....grazie grazie grazie !!!!!!!!

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  10. Una volta forse ci si lavava meno e ci si cambiava meno, ma non per questo non si era ordinati, si avevano pochi capi d'abbigliamento...

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  11. A volte mi domando cosa faremmo se improvvisamente mancasse l'elettricità... :-)

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