sabato 24 marzo 2012

La Celidonia (Chelidonium majus)


 Torrente Nervia

Questo pomeriggio sono scesa fin giù al torrente che scorre vicino casa. Sulle sponde ancora spoglie solo i resti delle piene invernali...impressionante come la furia delle acque debba abbandonare ciò che trascina da monte tra i rami e le pietre. Nelle zone meno aride si iniziano a intravedere le prime gemme e qualche fiore fa capolino tra le pietre. Il colore giallo è quello predominante. La mia attenzione è stata attirata da un piccolo arbusto con fiori giallo-oro, intuivo che si trattava di un fiore importante.  Rientrata a casa ho subito scaricato le fotografie e con l'ausilio dei libri, Fiori di Liguria di Alfredo Moreschi e Le piante aromatiche e medicinali della provincia di Porto Maurizio di Rovesti, non mi è stato difficile riconoscerli. Ho chiesto conferma direttamente ad Alfredo Moreschi. Si trattava della Celidonia ovvero Chelidonium majus
Leggendo la scheda relativa  a questo fiore ho scoperto che ha una stretta correlazione con la primavera e le rondini e altre interessanti caratteristiche che, come sempre, ci vengono raccontate da Alfredo Moreschi nelle sue schede spaziando tra scienza, mitologia, storia e filosofia. Potrete scoprire cosa si dice di questo arbusto leggendo di seguito. 
Credo che in questo periodo sia giusto dare spazio alla natura del nostro territorio in fase di risveglio.

Chelidonium majus
di alfredo Moreschi


Chelidonium majus: Cilidonia, Selidonia, Schillidonia, Seidonia, Erba da porrìn, Rata-joea a Genova e dintorni, Zirioegna a Nava, Siridòna e Tòscegu a Savona, Spiriozi a Ceriana, Scirigoegna e Erba de sugu gialu ad Imperia.


Chelidonium majus , fiore 

Chelidonium majus  


Ogni pianta utile all'uomo ha ricevuto in epoca remota il relativo e giustificato battesimo, ma col passare dei tempo, per molti fiori, si sono dimenticate le ragioni che avevano portato alla nascita dell'originaria denominazione e quindi, i filologi delle epoche successive si sono affaticati per ricercarne le vere motivazioni. Sembra questo anche il caso di Chelidonium, una nomenclatura sulla cui origine esistono ben tre possibili ipotesi. 
La più probabile propone una correlazione con la primavera, epoca in cui fiori del Chelidonium majus iniziano a schiudersi, in coincidenza con l'arrivo delle rondini ed appassisce con la loro partenza; "chelidòn" in greco significa appunto "rondine" e, del resto, anche i romani la chiamarono "hirundinaria".
La seconda è una variante della precedente ed affonda in una credenza che tutti gli scrittori dell’antichità si sono tramandata fedelmente; pervenuta senza variazione alcuna negli erbari dei Medio Evo.   
Secondo queste fonti, i rondinini nascerebbero ciechi, riacquistando subito la vista perché le madri versano nei loro occhi una goccia dei giallo lattice della Celidonia.
La terza ipotesi, avanzata alla metà del secondo millennio, giustifica il battesimo con le parole latine coeli-donum, perché questa pianta era utile nella cura di molte malattie. 
I Galli chiamavano “thona” questa pianta specializzata nel seguire gli spostamenti dell’uomo e, quindi, sempre a portata di mano; sembra che sia stata utilizzata dai druidi come diuretico, narcotico e collirio per ripulire le albugini dell’occhio
Proprio il colore aureo della sua linfa, fece includere il Chelidonium majus nel novero delle piante utili per la ricerca della mitica pietra filosofale e di ciò resta traccia nel battesimo tedesco "Goldwurz".  
Questo curioso utilizzo non è però rimasto l’unico perché, secondo le raccomandazioni di Alberto Magno, portare sui petto foglie di Celidonia assieme ad un pezzo di cuore di talpa, rendeva praticamente invincibili.   
Sempre in questa singolare epoca storica, quando gli uomini erano costretti a sopperire alla mancanza di medicinali sicuri e cure di provata efficacia, affidandosi con totale e fiduciosa speranza ai presunti poteri magici di alcuni eletti, certi medicastri praticavano questo strano ed inspiegabile metodo diagnostico.  

Essi ponevano sul capo dei malato una pianta di Celidonia e rimanevano in attenta osservazione; se il paziente scoppiava in lacrime, era segno che esistevano possibilità di pronta guarigione, ma se, al contrario, il degente non riusciva a trattenere le risa, era da considerarsi spacciato.  
Altri ancora, pensarono ad un uso inibitorio delle secrezioni in grado di arrestare la montata lattea, l’eccessiva salivazione e persino la riduzione della produzione di liquido seminale; tanto che veniva raccomandato agli asceti ed a chi avesse proclamato voto di castità. 
L'impiego popolare della Celidonia, chiamata fra l'altro anche "Erba da porri", si esplicò nella cura di calli, verruche, ulcerazioni e per eliminare la rogna. In uso esterno, ed in omaggio alla dottrina della segnatura, essa era definita da Paracelso  "Erba insanguinata": adatta, cioè, alla cura delle malattie circolatorie oltre che "Erba gialla", specifica, pertanto, nelle malattie epatiche e della bile.
Alle analisi chimiche la Celidonia contiene nel suo lattice molti alcaloidi fra i quali la chelidonina, l'emochelidonina, la cheleritrina, la sanguinarina, la chelidoxantina oltre a mucillagine, sostanze resinose e minerali. Fanno parte di questo nutrito lotto di componenti anche due alcaloidi ad azione anestetica e narcotica molto simile a quella della morfina: la protopina e la allocriptopina.
Nonostante occorra mantenere cautela nei confronti di questa pianta, non dimentichiamo la sua appartenenza alle Papaveracee, tuttavia, non permangono dubbi sulla sua utilità diuretica, purgativa, calmante, depurativa e vermifuga. In uso esterno è molto apprezzabile la sua azione detersiva, caustica e vescicatoria per la guarigione di ulcere, l'eliminazione della rogna, dei calli, delle verruche e per l'attenuazione dei pruriti; alla diluizione ottimale, garantisce la risoluzione di molte irritazioni oftalmiche. 
Il linguaggio dei fiori continua a credere al prodigio della vista riacquistata dai rondinini ed ha fatto della Celidonia il simbolo dell’amore materno con questa complicazione: se è chiuso e reclinato esprime preoccupata attenzione; aperto significa gioiosa partecipazione. 

Chelidonium majus  L. (V- X. Frequente nei luoghi umidi, nei ruderi sino ai 1200m). E’ specie perenne a radice fusiforme e ramificata. Ha fusto eretto ascendente, ramoso, di aspetto cespuglioso, alto sino a 70 cm. Raramente glabra, ha un lattice giallo copioso e fortemente acre che scurisce con l’ossidazione; le foglie sono di color verde bluastro, più chiare inferiormente, pennatosette, composte da foglioline ovali e crenellate. I fiori, di color giallo-oro, sono formati da 4 petali obovati più lunghi dei calice, formato da due sepali che si staccano al momento della fioritura. 
  
Come raccoglierlo e coltivarlo
Sono ormai quattro secoli che il Chelidonium majus risulta coltivato in molti giardini europei dove i suoi fiori giallo-oro, ottenuti anche in forme doppie, assommano la loro eleganza alla delicatezza delle foglie color verde-bluastro.
Oggi è ingiustamente abbandonato dagli appassionati del regno verde; eppure si coltiva facilmente per seme o per divisione piantandolo direttamente a dimora in terriccio ricco di sostanze in decomposizione.  

2 commenti:

  1. questo periodo è davvero un tripudio di colori, di profumi e di cinguettii...che meraviglia!!!
    ciao e buona settimana lavorativa!

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  2. L'esplorazione continua...Buona settimana anche a te.

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