mercoledì 30 settembre 2009

Da a funtana, di Andrè Cane.


"Au fil de la Nervia" è un libro che è stato scritto da un nostro compaesano, Andrè Cane.
A questo personaggio la nostra Amministrazione Comunale riconobbe la cittadinanza onoraria, ne parlai qui.
Il suo libro, che racconta alcuni aspetti della quotidianità paesana, è per molti sconosciuto, come molti non conoscono questo personaggio,nonostante la sua cittadinanza onoraria.
Ad Andrè Cane, che visse quasi tutta la sua esistenza in Costa Azzurra, fu dedicata, quando era ancora vivente, una via e una biblioteca a Beaulieu-sur-mer, fu il più grande storico della Costa Azzurra.
Ha collaborato spesso con L'Istituto di studi liguri di Bordighera, insomma, un personaggio illustre. Il libro è stato stampato in 250 copie nel lontano 1973 dalla casa editrice Don Bosco di Nizza. Esiste solo la versione in lingua francese, i capitoli scorrono raccontandoci la vita paesana e alcune figure che abitavano Isolabona, il tutto ambientato nei primi decenni del XX secolo.

La traduzione di alcune pagine,per poterle condividere con voi, era per me un lavoro impossibile. Ho così chiesto alla carissima amica Nadia Veziano, che il francese lo conosce molto bene, se le andava di curare la traduzione e lei mi ha subito detto di si. Un lavoro che ha svolto con piacere perchè molto interessata alla cultura e alle tradizione del nostro paese.
Questa sera vi propongo una parte del capitolo dedicato alla fontana, con la speranza che questo libro possa trovare in tempi brevi una sua collocazione nel panorama culturale e storico di Isolabona.


Lungo il Nervia
di Andrè Cane
traduzione a cura di Nadia Veziano

Ricordi e note storiche


Dalla fontana
[...]

Il ponte, la breve volta e subito a sinistra, ai piedi della “Bunda” una piazzetta inclinata raccolta fra tre alte facciate:in mezzo, la fontana.
E’ lì, umile senza grandi pretese artistiche, specchio delle linee semplici e della povertà che la circondano.
Alla base, la sua vasca esagonale, fatta con spesse lastre di pietra scura rinforzate da robusti tiranti di ferro.
Al centro una piccola colonna di marmo ricoperta di muschio nella sua parte immersa, coronata da una vasca lenticolare marmorea, che restituisce il suo contenuto attraverso quattro tubicini in metallo: sopra il tutto una graziosa palla di pietra.
Da un lato una data: 1484, certamente quella della sua costruzione.
Da quasi cinque secoli, il suo mormorio continua a ritmare la vita della comunità, così come il rumoreggiare del torrente Nervia e il tintinnio delle campane.
All’alba, ma soprattutto al tramonto, le donne la circondavano, arrivando dai “carrugi”, dalla “ Bunda” o dal più lontano “Buteghin”, con la loro “seglia”(1) dal profilo elegante sulla testa .
La “ fontana” era per le donne quello che il “ponte” rappresentava per i suoi abitanti maschi.
Un luogo collettivo dove ogni giorno si compiva il rito monotono e inevitabile di una corvée domestica, ma anche il punto d’incontro ideale dove si trasmettevano in confidenza, le ultime notizie del posto e i pettegolezzi che eccitavano la curiosità.
Le attese, spesso lunghe intorno alla fontana,favorivano queste chiacchiere, che suppongo, fossero assai coinvolgenti.
Esse si prolungavano ben oltre il tempo che le due interlocutrici impiegavano per posare sul loro capo rigido, la seglia (brocca) piena che tenevano assolutamente immobile.
Vi vedevo anche,nel tardo pomeriggio, quando rientravano dai campi, “i soliti” che posavano il loro fardello a terra e si dissetavano a uno dei quattro “ rugli” ( getti).

Pè il panettiere era anche lui un fedele utente.
Il suo impasto esigeva molta di questa acqua, molto rinomata, che rendeva buono il suo pane.
Lo vedevo avvicinarsi, tutto infarinato,con passo rapido, con una grande seglia che riempiva tre volte di seguito e che trasportava sulla testa con una facilità e una grazia…..quasi femminile.
La sera, Petrin un ricco proprietario, vi conduceva il suo imponente bue rossiccio, l’unico che esistesse in paese.
Capre e muli, al termine di una lunga giornata passata all’aperto venivano a tuffare il loro muso nel fresco abbeveratoio della vasca, prima di raggiungere le stalle.
Al venerdì pomeriggio, vedevo uscire dalla sua bottega, semi interrata e a volta, confinante con la fontana, l’alta figura un po’ curva di Michè il macellaio
“ u maixelàa”; il suo viso ossuto era attraversato da sottili baffi, i suoi occhi , nascosti dal bordo ribassato di un vecchio cappello scolorito e sbilenco.
Teneva nelle sue mani deformate una manciata di grossi coltelli che affilava pazientemente sul bordo delle lastre di pietra consumate dall’usura.
Ero anche il testimone di una scena che si ripeteva spesso, e che mi attirava molto.
Vedevo apparire sulla Bunda “ Catarinin de Meneghin” una nonna affettuosa, di nero vestita, gonne lunghe, un grande fazzoletto scuro avvolto in testa; teneva la sua nipotina per mano.
Aveva solo da fare qualche passo e salire tre gradini per entrare nella buia bottega della “ Peireta” , scarsamente provvista di generi alimentari.
Ne usciva con un canestrello e raggiungeva, per quanto rapidamente le sue vecchie gambe le permettevano, la fontana.
Divideva allora il succulento ma duro biscotto e lo inumidiva sotto un getto per renderlo più morbido per la sua bocca sdentata.
Seguivo il laborioso movimento delle sue mascelle, mentre la bimba, sempre tenuta con mano ferma, trepidava d’impazienza, come l’uccellino che aspetta l’imbeccata.
“ Aspeita cha ta giasciu” ( aspetta che te la mastico) borbottava l’anziana che estratto una parte del boccone masticato lo porgeva alla piccola.
Questa disgustosa operazione preliminare, devo sottolinearlo, aveva altri adepti.
Questo lasciava supporre l’esistenza di una vecchia abitudine, spogliata all’epoca da ogni considerazione negativa, per quanto riguarda l’aspetto pericolosamente poco igienico di tale pratica.[...]

1) seglia, grossa brocca per trasportare l'acqua.

Tempo fa l'amico Rino di babilonia61, che svolge l'attività di storico, scrittore...... pubblicò un post molto interessante sull'acqua potabile nelle città e nelle campagne tra il XV e il XIX secolo, lo trovai molto bello e oggi lo vorrei segnalare perchè merita di essere letto per approfondire alcuni aspetti di carattere storico e sociale...... continua a leggere


lunedì 28 settembre 2009

VEONEGI


Menoci

Aggiunta delle ore 21,15 del 30/09/2009

Si potrebbe dire che VEONEGI è la terminologia italianizzata
VEONEXI è la variante dialettale


La zona di Veonegi , che fu venduta da Apricale a Isolabona nel 1869, potrebbe essere sicuramente un sito di notevole rilevanza storico archeologico, infatti, e ne avevo sentito parlare anch'io, in questa zona negli anni trenta furono trovati parecchi reperti archeologici.
Da questo sito passava l' antica via della val Nervia in epoca romana. Il TRAGITTO procedeva sulla linea di Camporosso, Dolceacqua(importante per l'arcaica positura strategica del castro a guardia del fiume e della via di fondovalle), Portus di Dolceacqua, Veonegi, Marcora-Marcola , Passo Muratone, Margheria dei Boschi, Monte Morgi, Passo Saorgio, Briga, Pedo (poi S.Dalmazzo di Tenda) e TENDA (per innestarsi sulla via romana identificata nel tragitto Limone-Limonetto).

Il personaggio che è nella fotografia, Menoci, ha passato la sua vita in Veonegi con le sue capre, forse la persona che più di qualsiasi altra conosceva questo luogo.

Di seguito una breve scheda riassuntiva dei reperti ritrovati nella zona tratta da Cultura Barocca

[...]

VEONEGI

Complesso prediale, tuttora insediamento agricolo, sito in altura rispetto al borgo di Isolabona e già parte del sistema viario antico del Nervia. Durante i ripascimenti ( Il ripascimento è il versamento di un volume di terreno in modo da ottenere un avanzamento di terreno nelle zone dove l'ampiezza è ridotta) del terreno si rinvennero tombe romane di modesta condizione (in genere del tipo a "cappuccina") con tracce di resti umani e di arredi funerari (databili del II sec. d. C.: v. B. DURANTE - A. EREMITA, Guida di Dolceacqua e della Val Nervia, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1991, p.11, fotografia 2).
Ancora più significativo, a riguardo di una lunga visitazione umana nella romanità, è stato il ritrovamento di monete che coprono un vasto arco cronologico (I-IV sec. d.C.) e che provano come ancora ai tempi di Costantino il Grande (più numerosi fra tutti, nelle tombe e non, i rinvenimenti di "monete costantiniane") la zona abbia rappresentato un punto di riferimento per la via del Nervia e per varie attività agricole e pastorali. Alcune monete ("di via") son state rivenute casualmente, per i lavori agricoli, nel complesso prediale, altre invece entro le tombe ad inumazione, come "oboli" per "Caronte" il traghettatore degli Inferi.
Le sepolture son state quasi tutte rinvenute negli anni Trenta di questo secolo, durante i lavori di sterro per edificare i muri a secco, retaggio della tecnica medievale monastica della grangia, di un vigneto.
Secondo alcune testimonianze orali, ricavate per via di sondaggi da A. Eremita fra i vecchi del paese e in particolare i conoscitori del sito, si sarebbero trovate circa 40/50 tombe ad inumazione e ad incinerazione (molto materiale, purtroppo è andato quasi certamente disperso nei ricchi ma oscuri meandri dell'antiquariato: del resto -ma anche questa è testimonianza orale- sarebbero stati altresì rinvenuti i frammenti di una grande lapide, di un'epigrafe poi venduta parimenti nel contesto del mercato clandestino delle opere d'arte.[...]

Forse nel nostro comune vi è un sito di notevole importanza e per noi è solo un toponimo................

domenica 27 settembre 2009

Un anno fa nasceva Isolacometivorrei.





Un anno fa, presa da una voglia irrefrenabile di raccontare il paese in cui vivo, ho deciso di aprire il blog, questo il primo post.
E' trascorso un anno, ho cercato di raccontare le varie sfaccettature di questo borgo, dando più importanza all'aspetto storico perchè la storia, a mio parere, è la vera anima di un popolo.
Ho cercato di raccontare le bellezze che la natura ci regala con i fiori e gli animali che la popolano.
Ho criticato alcune scelte dell'amministrazione comunale e ho applaudito ad altre.
Vi ho presentato il futuro della nostra comunità e chi si prende cura della loro educazione
Non mi sono dimenticata di chi ci sta vicino perchè, credo, abbiamo molte cose da condividere sia con Dolceacqua che con Apricale.
Non mi sono dimenticata delle mie origini e ho avuto un pensiero per chi non c'è più.
Insomma posso dire di essermi impegnata a far conoscere un luogo per molti sconosciuto e a lasciare traccia delle tradizioni che ci appartengono, perché le tradizioni come la storia non vanno dimenticate.
Grazie a tutti i 28.491 che sono passati da queste pagine, un grazie particolare ai miei lettori fissi e a chi passando da qui, non ha lasciato nessun commento.
Un grazie con tutto il cuore, roberta.

venerdì 25 settembre 2009

Cosa successe quando i Doria "finalmente " furono cacciati.



Qualche tempo fa vi parlai di cosa successe a Isolabona quando Napoleone venne deposto e mandato in esilio.

Nel 1815 ci fu finalmente la cacciata dei Doria ed essendoci stata l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna, ci furono dei cambiamenti.
I rapporti tra i comuni limitrofi non furono facili anche per vecchi disaccordi, alcuni nobili rivendicavano assurdi privilegi e l'entrata in vigore della leva obbligatoria non fu certo d'aiuto alle famiglie, ma grazie a un gioco molti la evitarono.....
Quelle riportate di seguito sono alcune testimonianze raccolte da Marino Cassini che mi ha gentilmente concesso in uno dei nostri incontri.


Da una ricerca di Marino Cassini
[...]
Nel 1815 la Liguria fu annessa al Regno Sardo. I Doria perdettero il feudo e i titoli nobiliari, divenendo semplici cittadini. Ciononostante essi mossero lite a Dolceacqua, Isolabona, Apricale e Perinaldo reclamando il pagamento di antichi privilegi. La Regia Camera dei Conti, con sentenza del 4 gennaio 1817, diede loro ragione e i comuni dovettero pagare, versando il 12% dell’olio prodotto, oltre alle sanse.
Altra lite per il riconoscimento di antichi privilegi avvenne tra il comune di Isolabona e il marchese Corvesi Lascaris di Gorbio per abuso di pascoli nella bandita d’Oltre Nervia. Erano gli ultimi sussulti di una nobiltà restia a rinunciare ad assurdi privilegi.
Tra i comuni, dopo secoli di liti, iniziarono rapporti più distesi e intervennero accordi per la divisione di terre, di pascoli e di boschi. Risale al 1869 una offerta da parte del comune di Isolabona a quello di Apricale del bosco di Osaggio in cambio del territorio di Veonixi e della zona della Castagna. Apricale accettò, facendo però notare che il cambio non era per loro vantaggioso e, pertanto, richiesero quale conguaglio una parte del bosco di Bunda.
L’amministrazione sabauda portò cambiamenti come l’uniformità di pesi e misure e, cosa non certo piacevole per le famiglia che si reggevano in particolar modo sul lavoro dei giovani, il servizio militare obbligatorio che veniva a togliere braccia valide al lavoro dei campi.
Per venire incontro a tali esigenze il governo applicò un espediente particolare: i giovani di leva ritenuti abili, prima di partire, estraevano a sorte un numero. Se questo era al di sopra di un numero prestabilito, ritornavano a casa; in caso contrario partivano. Fino a qualche decennio fa, quando qualche giovane si recava alla visita di leva, i vecchi dicevano "U va a tirää" (Va a tirare, nel senso di estrarre da un'urna). Dal manoscritto Cane, in seconda di copertina si legge:
"mio figlio Gio Antonio e nato nel 1792.
nel 1812 li 9 Genaro hanno dato il biglieto del aviso per la requizisione [visita di leva] e stato amisurato in casa del Sig. Gavin.
li 3 febraio e andato al tiraggio in Dorciaqua e ha tirato il numero 59.
Il 13 è passato al Consiglio di Reclutement in Nizza e stato rimandato.” [...]

Conoscere il nostro territorio anche attraverso queste testimonianze lo trovo importante, non sapevo che Veonixi appartenesse agli apricalesi, come mi sono sempre chiesta come mai Apricale fosse proprietario di una parte del bosco di Bunda, adesso capisco.

mercoledì 23 settembre 2009

Sara Rodolao




Oggi insieme alla solita posta ho ricevuto una gradita sorpresa e soprattutto inaspettata, una grossa busta bianca al cui interno vi era il libro di poesie d'amore della bravissima Sara Rodolao dal titolo " La Fase Nuova ".

Sara l'ho conosciuta in rete e credo di aver incontrato una persona veramente speciale, spero presto di poterla conoscere di persona visto che abitiamo a poche decine di chilometri di distanza.

Mi sento di dire che come lei provo " un'amore viscerale per questa terra adottiva......."

Ho letto, praticamente divorato solo un suo libro "La vestina d'organza " ma ve ne vorrei parlare in un'altra occasione perché merita un post tutto suo........

Volevo ringraziarla pubblicamente del suo gesto e soprattutto delle belle parole che mi ha scritto come dedica, che già custodisco nel mio cuore............
Questa sera vorrei condividere con voi una poesia di Sara dal titolo Metamorfosi.


Metamorfosi

E quando con impeto
d'amore
ti addentri nel mio universo
diviene mio il tuo respiro
e il mio respiro il tuo.

Non c'è disarmonia
tra i pensieri e le parole
e neppure un velo d'aria
tra la mia pelle e la tua.

Allora mi trasformo
in un barlume d'eterno
fluttuante
in un calice di colori;
ambrosia dolcissima
che tu assimili con frenesia:
fluttuando a tua volta
in una coppa di arcobaleno.

Se vuoi conoscere meglio Sara leggi qui e qui , questo il suo blog

A presto Sara.

lunedì 21 settembre 2009

La storia degli occhiali

Fotografie reperite in rete, affresco di Tommaso da Modena

Spesso capita di usare un oggetto nel quotidiano senza conoscerne la storia.
Oggi ho ricevuto una segnalazione che mi metteva sulla strada degli occhiali.
Ho letto con piacere perchè pur facendone uso per poter lavorare, non conoscevo nulla della storia di questi indispensabili oggetti e ho scoperto che sono antichissimi, non l'avrei mai detto........

da Cultura Barocca
[...]

Non si sa con esattezza quando e da chi furono inventati gli occhiali. Molti pensano che l'invenzione sia avvenuta, quasi contemporaneamente, verso la fine del XIII secolo, in ambiente toscano e in ambiente veneto: è comunque significativo che il Beato Giordano da Rivalto in una predica del 23 febbraio 1305 declamò:
"Non è ancora vent'anni che si trovò l'arte di fare gli occhiali, che fanno vedere bene" .
Di seguito affermò di aver conosciuto colui che per primo li avrebbe fabbricati, un personaggio identificato dalla tradizione in certo Salvino d'Armato degli Armati, fiorentino, citato come "inventor degli occhiali" nella lapide tombale del 1317 oggi purtroppo andata perduta.
Anche uno scienziato del valore di FRANCESCO REDI intervenne sulla questione esprimendo le sue scoperte in un'OPERETTA.
Il primo ritratto di un uomo con occhiali appare comunque in un affresco di Tommaso da Modena eseguito nel 1352 mentre nel corso del XV secolo, quando la produzione era ormai ben avviata in Europa, in seguito all'invenzione della stampa, si verificò una forte domanda di occhiali da lettura.
Dapprima fu possibile costruire lenti convesse, adatte soltanto a risolvere i casi di ipermetropia e presbiopia , ma già nella seconda metà del XV secolo furono disponibili occhiali con lenti concave capaci di correggere la miopia.
La scoperta di due lettere scritte, la prima da Francesco Sforza il 21 ottobre 1462, l'altra da suo figlio Galeazzo Maria nel giugno 1466, all'ambasciatore di Milano in Toscana per ordinare circa ottanta paia di occhiali, sia apti et convenienti ad la vista longa, zoè da novene, sia convenienti ad la vista curta, zoè de vechy, anticipa la data degli occhiali per miope e dimostra che, intorno alla metà del Quattrocento, la Toscana era in grado di produrre grandi quantità di occhiali, per un mercato che si stava sviluppando.
Per molto tempo gli occhiali non furono prescritti e realizzati caso per caso ma preparati in pochi tipi fissi e scelti poi dai pazienti fra quelli disponibili: una scena al riguardo è quella che ci viene proposta dall'incisione cinquecentesca in cui compaiono dei venditori ambulanti nell'atto di far provare gli occhiali ai loro clienti sì che ne potessero acquistare il tipo più adatto a correggere il loro deficit visivo.
La figura dell'OCULISTA è significativamente recente: l'autore ligure del manoscritto Wenzel che era un medico e che dimostrava una certa consuetudine nella cura di malattie degli occhi, per quanto uso a fare citazioni nel proporre consulti medici e a dare consigli terapeutici, non cita mai la FIGURA PROFESSIONALE DELL'OCULISTA anche quando fa riferimento allo strumento degli OCCHIALI.
Papa Leone X (1475-1521 ) fu tra le prime persone importanti a disporre di lenti per correggere la miopia. I primi occhiali erano molto semplici e rudimentali e la stanghetta fu introdotta solo all'inizio del XVIII secolo anche se ancora nell'Ottocento come modello più diffuso rimasero gli occhiali del tipo a pince-nez. Alla fine del XIX secolo si affermano gli occhiali come si conoscono oggi, con lenti abbastanza larghe e stanghette ripiegate dietro l'orecchio.[...]

Ritratto di Francisco De Quevedo y Villegas


In questi ultimi anni la mia vista è un po' calata e svolgendo un lavoro in cui fissare a lungo un piccolo particolare è la quotidianità, non posso più farne a meno.
E voi come siete messi con la vista?

L'apostolo degli occhiali di Conrad von Soest (1403)

domenica 20 settembre 2009

Il Macaone, Papilio màchaon


Questa fotografia l'ho scattata domenica scorsa mentre ero di ritorno dal fotografare i crochi autunnali, erano un paio di giorni che notavo qualcosa di strano nell'aria, vedevo molto spesso volare insieme due farfalle e la cosa mi ha incuriosito.
Anche in questo caso le farfalle erano due ma una sola si è fermata per assaporare un po' di nettare di Cirsium vulgare, sono riuscita a fotografarla.
L'ho così inviata a Giancarlo Castello per avere qualche informazione in più, e come al solito, ho ricevuto una risposta molto soddisfacente.
Ho pensato di proporvela oggi per due motivi, il primo è che oggi è l'ultimo giorno d'estate e il secondo che questa ultima settimana è stata per me un po' travagliata con cambiamenti che mi hanno portato a restare lontana dal pc e di essere impossibilitata a comunicare......
Spero che le mie capacità organizzative mi assistano e mi aiutino a trovare il tempo per essere più assidua nell'aggiornare il blog e di comunicare con tutti voi.


Giancarlo Castello scrive
[...]

Quando un'avversità di qualunque natura minaccia un animale o una pianta, avviene un fenomeno che gli esperti conoscono bene. L'essere minacciato impiega tutte le risorse che ancora possiede per garantirsi, con i propri discendenti, la sopravvivenza della specie . Il Macaone, cioè la farfalla da lei fotografata, che non è abbondantissima, si aggrega tuttavia in caso di emergenza. Dopo un clima persistente che sembrava garantire all'infinito certe condizioni, qualcosa è cambiato, quasi d'improvviso. Le farfalle non invernali, le più delicate, si sono affrettate ad accoppiarsi e deporre le uova nel più breve tempo possibile. Le invio qualche foto aggiuntiva e un paio di descrizioni in più, essendo la specie in oggetto piuttosto conosciuta.

E’ abbastanza facile incontrare un Papilionide mentre veleggia lentamente su sentieri erbosi e plana nel sole come un piccolo stupendo aliante. I Papilionidi formano una Famiglia di farfalle tra le più belle d’Italia. Guarda caso, “papilio” in latino significa farfalla, termine non del tutto scomparso, basti pensare al francese Papillon. Questi speciali Lepidotteri presentano forme e colori inconfondibili, tanto che i collezionisti sognano di possedere tutte le seicento specie del mondo. Secondo la Scienza le specie italiane di Papilionidi sono soltanto otto, ovvero (senza considerare le sottospecie): Papilio alexànor, Papilio hospiton, Papilio màchaon , Iphiclides podalirius, Parnassius apollo, Driopa (Parnassius) mnemosyne, Parnassius phoebus e Zerynthia polyxena. La prima farfalla, l’alexanor, è un raro endemismo della nostra zona, mentre la specie hospiton vive soltanto in Sardegna e in Corsica. Le Parnassius si trovano in altura e la Zerynthia sta diradandosi perché legata all’Aristolochia, pianta semipalustre. Le farfalle tendono a scomparire quando, con noncuranza, vengono estirpate le loro piante nutrici, considerate erbacce inutili. Prima di eliminare un piccolo cespuglio, cerchiamo di capirne la funzione naturale: potrebbe rivelarsi un’autentica sorpresa… Riconosciamo facilmente la specie di oggi, considerata la più comune farfalla d’Europa. Parliamo della Papilio machaon, il normale Macaone, la cui bellezza, nonostante tutto, la gente evita di approfondire almeno un po’. A tal proposito potremmo creare un proverbio: niente è comune se non se ne sa nulla… Molte persone hanno visto il suo bruco, senza sapere che si trattava del piccolo di questa farfalla. Chi conosce la sua pianta madre può sperare di vederlo, specie in settembre. Parliamo della pianta del Foeniculum vulgare, un finocchio selvatico considerato importante per i nostri bisnonni, che ne consumavano abitualmente i getti , soprattutto i semi dal gustoso aroma di anice. Questo bruco, come quello degli altri Papilionidi, possiede un apparato repellente chiamato osmeterio che produce un odore sgradevole per i predatori. La farfalla adulta che, come ormai sapete, beve solo un po’ di nettare per dare energia alle ali, vola intorno alle Ombrellifere o sul Centranthus ruber, la valeriana rossa. Quando può frequenta Il suo cespuglio preferito, dove staziona tra i fiori a volte in gruppi numerosi, ubriacandosi di nettare, cioè la Buddleja davidii, non a caso soprannominata “albero delle farfalle”. Sfruttiamo l’occasione per presentarvi la specie che si può facilmente confondere con il nostro Macaone. Credo sia bellissima, anche per la sua grandezza che, nella femmina, può raggiungere i quattro centimetri di apertura alare. Il nome scientifico è: Iphiclides podalirius, il mitico Podalirio, farfalla non sempre comune in Italia, in certi anni molto sporadica. Alcuni sostengono che costituisca due sottospecie: Iphiclides podalirius podalirius e Iphiclides podalirius feisthamelii. La prima con fondale giallo molto pallido, la seconda con fondale bianco, entrambe a strisce nere che donano un aspetto zebrato molto chic. Non possiamo dimenticare le eleganti appendici, una per ciascuna ala, le code più lunghe tra le nostre farfalle. La farfalla ha due periodi di volo: maggio-giugno e agosto-settembre, nei quali, dopo essersi accoppiata, deve cercare la propria pianta madre. Si tratta del Prunus spinosa, un cespuglio selvatico da noi abbastanza diffuso in altura, i cui frutti sono maturi in estate: quelle prugne blu, ricoperte di polverina bianca (pruina), acide e immangiabili, grandi come biglie. Le larve del Podalirio pur cibandosi di quelle foglie, non recano danni alla pianta, da noi considerata inutile, dato il gusto ingrato dei frutti. C’è da dire che, specie nelle zone in cui manca il Pruno Spinoso, la nostra farfalla si è adattata anche ai frutteti coltivati a ciliegie, mandorle, prugne, pesche, pere, mele, sorbe, ecc. Comunque la sua presenza, non certo massiccia, provoca ben pochi danni alle colture. I luoghi preferiti degli adulti, che vagano in cerca del partner, sono principalmente: i cespugli radi, le bordure, i prati erbosi, le scarpate rocciose e franose, spesso su piante ospite isolate, in luoghi molto caldi e secchi della campagna. Quando la larva raggiunge lo stadio più critico, verso la fine dello sviluppo, si camuffa su di una foglia con colori perfettamente uguali alla superficie vegetale. I nomi di molte farfalle, specie Papilionidi, derivano dalla mitologia greca, qualche studente del Liceo lo avrà certamente notato. Chi non ricorda, ad esempio, il dio Apollo? Macaone era un eroe greco, mentre Podalirio, figlio del dio della medicina Esculapio, a sua volta medico, fu decantato per le sue grandi virtù di guaritore durante la guerra di Troia. Ancora una cosa sulle collezioni: la migliore tra tutte è quella che si fa con il cuore e con la mente, cercando d’imparare un pezzetto della vita di tutte quelle emozionanti creature, magari scrivendone il nome sul retro di una innocua fotografia…[...]

Domani sarà il primo giorno dell'autunno, stagione che amo per i colori che ci regala, spero di riuscire a raccontarvelo attraverso le fotografie dei nostri stupendi boschi soprattutto quello tanto caro alla mia famiglia cioè quello di Treixe.




Iphiclides- Podalirius


Larva Iphiclides




Prunus

mercoledì 16 settembre 2009

I Crochi autunnali, Colchicum autumnale

Domenica, facendo un giro negli incolti vicino a casa mia ho trovato tra l'erba secca dei fiori la cui apparenza mi trasmetteva molta delicatezza.
Mia suocera me ne aveva parlato il giorno prima raccontandomi che nelle campagne di Treixe ne sbocciavano moltissimi e camminando nel bosco tra i castagni  sembrava che ci fosse un tappeto rosa viola............
Sono così andata alla ricerca di questi fiori, animata soprattutto dalla voglia di fotografare, forse uno degli ultimi fiori di questa estate che sta svolgendo al termine......
 
 
Ma come si chiamano?
Ho così inviato una mail ad Alfredo Moreschi, il fotografo storico di Sanremo, grande appassionato di fiori  che anche questa volta ha collaborato inviandomi una scheda molto dettagliata relativa a questo fiore, e anche questa volta potremo leggere cose meravigliose, ancora una volta potremo capire quanto la forza della natura sia grande anche se la sua espressione, come in questo caso, è un piccolissimo e fragile fiore......

Alfredo Moreschi scrive
[...]
I Crochi autunnali

Specie dei generi Bulbocodium, Colchicum, Sternbergia

Colchicum autumnale: Cancaxoea e Safràn servaegu a Genova, Fregiurine a Bardineto, Pourasse o Sciu da purassa nel ponente, Lumi da mortu al Monte Armetta.




 Delle quattro specie incluse nella flora spontanea della Liguria una sola, il Colchícum autumnale, si dimostra ancora utile per l'economia umana; viene chiamato "Zafferano selvatico" in molte regioni d’Italia, ma appartiene alla Famiglia delle Liliacee e non a quella delle Iridacee, dove sono compresi i Crochi, dei quali imita perfettamente la forma.

In tema di duplicati è doveroso segnalare anche la presenza in Liguria di un altro pseudo Croco, la Sternbergia lutea chiamata "Zafferanastro" dagli italiani, inconfondibile per il fiore color oro.

Dioscoride in De Medicinali Materia ed il poeta Nicandro nelle sue Georgiche, sono i due autori che per primi hanno usato la denominazione Colchico, derivandola dalla mitica Colchide e rivelandone contemporaneamente gli sgradevoli effetti venefici quando affermano che "la pianta produce sui corpi  rossore e caldo eccessivo, e provoca dei vomiti con laceramento di visceri e di intestini”.

Secondo la mitologia classica, sarebbe stata proprio Medea, in quella lontana regione, a provocarne la comparsa nel mondo; mentre stava distillando una delle sue misteriose pozioni, alcune gocce cadute sul terreno avrebbero originato  i primi Colchici della storia.

Sugli effetti della colchicina, si sono alimentati dubbi a lungo dibattuti: se fosse, cioè, effettivamente così letale come si diceva o se in qualche modo potesse rivelarsi utile all’uomo.

Bartolomeo Clarici, infatti, scriveva con fiducia:“Portare un bulbo appeso al collo durante una pestilenza riesce di valido preservativo, come nell'ultima peste di Amburgo e in altre maligne epidemie".

Non sapendo ancora che la concentrazione dei princìpi nelle piante è maggiore o minore a seconda delle stagione, Clarici esprimeva la sua perplessità:”Il Colchicum in occidente ha mutato natura; forse perché in questo clima non possa cuocersi a perfezione il succo, o che il sole non sviluppi quella qualità venefica, o che la terra non gli somministri sali e sugo di quella malignità che ha al suo paese. Qui è stato osservato non essere più il suo bulbo tanto nocivo come quelli che nascono nella palude Meotide e nei prati o nelle valli del Caucaso”.   

Nei secoli scorsi a queste minuscole Liliacee furono conferiti nomi diversi come "Ermodattili" o "Efemeri" ed il Colchicum autumnale, il più noto fra tutti, fu soprannominato anche "Zafferano bastardo", sempre per la sua notevole somiglianza con il Crocus sativus dai cui stami si ricava la nota, carissima e sofisticatissima polvere di Zafferano.

Resta da commentare il singolare "Lumi da Morto", inventato nei pressi dei Monte Armetta, un nome che giustamente ricorda come i Colchici siano piante dei freddo, annunciatrici dell'inverno, e dell'approssimarsi della commemorazione annuale dei defunti.

Questa caratteristica di fiori tardivi li ha resi preziosi per l'orticoltura ornamentale, guadagnando loro il valore emblematico di fiori della meditazione e dei rimpianto, nonostante vi sia chi li elegge a simbolo della perversità ricordandone la potenzialità venefica.

In genere il bestiame di grossa mole, forse respinto dal sapore piuttosto acre, evita accuratamente di nutrirsi dei loro fiori, mentre pecore e capre li brucano impunemente restando indenni, ma fornendo un latte cattivo.
I cacciatori francesi hanno erroneamente coniato per il Colchicum autumnale, il battesimo di "Ammazzacani" credendolo responsabile della fine di molti segugi trovati avvelenati; è probabile, infatti, che queste morti siano state provocate dalla diffusa consuetudine di impregnare i bocconi, destinati agli animali nocivi, con le sostanze contenute nei semi e nei bulbi di queste piante. 
A questi principi si fa risalire l'interesse degli erboristi per il Colchicum autumnale.
Essi lo impiegarono, sino dal lontano Medio Evo, contro i parassiti delle bestie e dell'uomo, in particolare nella lotta alle pulci ed ai pidocchi. “Con un'oncia di radice lasciata in lenta infusione in una libbra di aceto e poi digerita a fuoco lento - si legge nei manuali dell'epoca - si prepara l'aceto di Colchico; aggiungendo il doppio di miele si ottiene l'ossimele di Colchico, preferibile al primo per l'uso dei medico. E’un eccellente rimedio nell'idropisia, nelle malattie pituitose dei petto e nella podagra. La radice porta via le verruche ed uccide i pidocchi”.

Il Colchico è dunque da considerarsi una pianta velenosa proprio per la presenza di quell’alcaloide chiamato colchicina che pochi anni or sono aveva acceso molte speranze per una efficace lotta contro tutti i tumori maligni. La cosa è vera solo in parte perché studi molto recenti hanno accertata l'efficacia della colchicina nei pazienti affetti da cirrosi associata ad epatite virale, i quali sviluppano il cancro al fegato in minima percentuale rispetto ai non trattati. Questa sostanza, inoltre e sempre con le dovute cautele, continua ad essere fra i componenti di vari preparati medicinali che trovano la principale applicazione nella cura della gotta e delle disfunzioni renali. 

La colchicina, è un principio attivo tossico dal sapore amarissimo ed inodore, presente in tutta la pianta, ma con maggior concentrazione nei semi e nella cuticola del bulbo; da quest'ultimo si può estrarre la polvere dopo averlo dissotterrato a luglio e fatto seccare. Le altre sostanze riscontrate sono: tannino, inulina, amido, resine ed un olio grasso.

I semi , nei quali si trovano anche acido gallico, zuccheri, fitosterina, tannino, un olio e amido, usati per l’estrazione della Colchicina si raccolgono in estate mentre il bulbo si estrae alla fine d’agosto quando raggiunge il maggior tasso di tossicità.

La colchicina che agisce specificatamente sulla circolazione capillare e sulle cellule, ha trovato spazio anche nella biologia vegetale perché, trattando i semi delle piante con questa sostanza, si è ottenuto il raddoppio dei cromosomi e quindi si è dato vita a varietà di fiori sorprendentemente appariscenti ed a frutti migliorati; i semi trattati con la colchicina sono in vendita sotto la sigla commerciale F l.

I trattati di medicina, anche in questo caso, avvisano gli operatori del settore su una possibile frode a riguardo dei semi di Colchico, talora alternati con quelli di Senape dai produttori disonesti.

Resta da aggiungere, come pura curiosità, che nel Medioevo le fattucchiere, facendo bollire fiori di Colchicum per una decina di minuti in mezzo litro d'acqua, preparavano un decotto per migliorare la carnagione e liberarla dalle impurità; date le caratteristiche della pianta, doveva agire come una specie di "peeling" ante-litteram.

Inoltre, secondo quanto attesta Linneo, un decotto di foglie di serviva sia per liberare uomini e bestie dai pidocchi, sia per tingere di un verde smorto le reti di pescatori e cacciatori e perfino per decorare le uova di Pasqua.

Le specie ascritte al genere Colchicum appartengono alla Famiglia delle Liliacee o Colchicacee a seconda delle particolari visioni dei botanici e si riconoscono nella vita spontanea come piante erbacee perenni con il bulbo fortemente piantato nel terreno.

Esso è carnoso emisferico canalicolato sulla faccia piana, mollemente ricoperto da tuniche; lo scapo molto breve è sotterraneo.
Le foglie sono lanceolate o lanceolato- lineari, inguainanti alla base, ed i fiori, rosei, lillacini, più raramente giallo-screziati, possono comparire isolati oppure raggruppati per 2 o per 3, quasi sempre assai prima dell'emissione delle foglie.  I 3 sepali ed i 3 petali, liberi nella parte superiore, sono invece saldati alla base in un tubo lungo sino a 30 cm che rimane in gran parte internato; gli stami sono 6, si attaccano sul calice e sulla corolla, immediatamente al di sopra della porzione tubulare dei perigonio ed hanno le antere molto più brevi dei filamenti. Gli stili sono 3 ed appaiono ben separati fra loro.

Al Genere Colchicum appartengono oltre una cinquantina di specie diffuse in Europa, Asia occidentale ed Africa settentrionale.  In Liguria nascono:
 
Colchicum autumnale L. (VIII- IX. Vive nei prati e nelle schiarite sino ai 2100m). Ha bulbo ovale e carnoso, avviluppato da tuniche nerastre, grande quanto una noce e lungo sino a 7cm. Le foglie sono lunghe sino a 40cm, usualmente in numero di tre, hanno forma lanceolata e vengono emesse nella primavera successiva all’antesi, seguite dall'apparizione della capsula ovoidale contenente moltissimi semi. I fiori, in genere da 1 a 3, presentano un tubo chiaro, svasato con corona rosa-lillacina non variegata; sono avvolti da una spata ad ali membranose. Le antere sono gialle, i tre stili eretti. Molto simile è:
- Colchicum neapolitanum Ten che vive ad altitudini massime di 1300m; ha bulbo lungo 35mm. foglie lineari lanceolate e capsula ellittica allungata. 

Colchicum cupani Guss. (Sin.  Colchicum bertolonii Stev. (IX-XI. Vive nei pascoli aridi sino ai 1800m) E’ l'unica specie ad emettere contemporaneamente foglie e fiori. Ha bulbo ovoide e foglie verde-glauco, lanceolato- lineari ed eretto- patenti, lunghe sino a 16cm e larghe 25mm. I fiori, solitamente solitari (a volte sino a quattro) sono rosei ed hanno il tubo lungo sino ad 11 cm. Le antere sono color porpora e la capsula  è ellissoidale. 

Colchicum alpinum Lam (VII-IX. Vive nei pascoli aridi sino ai 1800m). Ha bulbo ovoide e fiori, in genere 1 o 2, lillacini, a tubo lungo sino a 14 cm che nascono prima delle foglie; queste solitamente sono 2-5, lineari- spatolate più o meno ottuse, lunghe sino a 28 cm e larghe 22 mm. Le antere sono gialle e la capsula è ovoide. 
 
Colchicum vernum Ker.Gawl. (Sin Bulbocodium vernum L. II- IV. Vive nei prati aridi dai 600 ai 1900m). Ha un bulbo a tuniche scure,. I fiori, in genere 1-3, lillacini, hanno tubo corto con tepali lunghi e convoluti, liberi alla sommità ed arrotondati. Le foglie sono presenti alla fioritura ed avvolgono i fiori alla base, sono larghe sino a 3cm. e lunghe sino a 20cm. Lo stilo è a sezione tonda e diviso in punta in 3 stimmi. 

 

Come raccoglierli e coltivarli 

Il terreno più confacente alle caratteristiche dei Colchicum è quello composto da argilla e silice arricchito da stallatico maturo. L’esposizione è indifferente purché non sia completamente priva di irradiazione solare e non manchi l'umidità.

I bulbi vanno messi a dimora alla fine dell’estate ad una profondità di cm 10-15 fra la cima del bulbo e la superficie, alla distanza di un palmo abbondante l’uno dall’altro.

Per molti anni non vanno rimossi a meno che non si noti un calo di fioriture. In questo caso, alla morte delle foglie, verso la fine di giugno, i bulbi vanno riposizionati alla distanza ideale.

La moltiplicazione per seme richiede l’abituale pazienza che occorre quando si parla di bulbose perché, effettuata la semina si deve attendere un anno per veder spuntare qualcosa e ben 60 mesi per i fiori.

Non è possibile la sua coltivazione in vaso ma è simpatico alloggiare temporaneamente alcuni bulbi in un recipiente largo e piatto, su un poco con sabbia e muschio bagnato per farli fiorire in casa. Queste bulbose nascono ancora con una certa frequenza nei nostri prati collinari e montani dove è bene farli sopravvivere cercando unicamente di prelevarli quando siano stati dissepolti dai troppo frequenti interventi dei cinghiali.[...]
                                           Crocus Medius foto A Moreschi

Domenica è stata l'ultima giornata in cui abbiamo visto un po' di sole, sono tre giorni che un tempo grigio e piovoso ci fa compagnia............senza esagerare nelle piogge.
L'estate stà giungendo al termine e sono contenta di essere riuscita a fotografare questo fiore.
E come già letto nella scheda:


"Questa caratteristica di fiori tardivi li ha resi preziosi per l'orticoltura ornamentale, guadagnando loro il valore emblematico di fiori della meditazione e dei rimpianto, nonostante vi sia chi li elegge a simbolo della perversità ricordandone la potenzialità venefica."

Io sono per la prima interpretazione, ovviamente...............

lunedì 14 settembre 2009

La caduta di Napoleone raccontata da Giò Antonio Cane


Il manoscritto che racconta avvenimenti molto importanti del nostro piccolo paese, fu scritto da Gio Antonio Cane, figlio di Francesco, sposatosi il 21 settembre 1750, residente a Isolabona, nella piazza adiacente la chiesa di S.Maria Maddalena “la casa della piazza... stimata otocento novanta cinque lire dico L. 895 e jo la pagata a Veronica e Giacomo suo marito mile duecento lire e cento lire d’istrumento al signor medico Ghiglia nel 1808”. Nel puntiglioso elenco “delle compre o sia Terre comprate da me Gio Antonio Cane, figlio del fu Francesco Cane: in tempo che era vivo e dopo la sua morte”, tutti i toponimi delle località elencate sono zone poste sotto la giurisdizione del Comune di Isolabona o, comunque, appartenenti ad abitanti del paese.

Da queste pagine ogni volta che leggo alcuni brani scopro particolari molto importanti della nostra storia, particolari descritti nella quotidianità paesana, particolari che nei libri di storia che solitamente si leggono non si trovano, perché descrivono le diverse situazioni nel nostro piccolo paese.
Ad esempio il brano che vi propongo questa sera è il racconto della caduta di Napoleone, cosa successe quando l'armata dell' Imperatore Napoleone fu sconfitta ad opera dei russi e dei tedeschi e come festeggiarono a Isolabona il Re di Sardegna Vittorio Emanuele.



Dal manoscritto di Gio Antonio Cane
[...]

Ringraziando Dio siamo arrivati a questo anno 1814: e la note delli Sette Genaro a mesa note si è sentito un gran tron che a messo spavento a quelli i quali non dormiva e quelli che dormiva si sono svegliati impaoriti da gran rumore
Ma pe Dio grazia e stato un aviso che il giorno otto che era il Sabato e entrato Ventiquatro Milla homini Nappolitani in Roma e si sono impadroniti della Citta
li 19. di detto Genaro e arivato la letera alli Sigr Marchesi di tutto quello che era seguito in Roma nel ocosione che è intrato li Napolitani
La Maggior parte delle Armate Ruzie Tedesche è jngresi hanno atacato da Lion li primi Marzo sono intrati nella Citta di Lion e Bordò Le Armate francesi sono restate rovinate le Armate Ruscie Tedesche e jngresi erano conposte di un Million e centomila homini siche da tutte le parte li francesi erano scaciati
Per adiograzia li 29 Marzo sono intrati a fonteblò dove era quel gran birbo Napoleo a otto Manescià francesi hanno posato le armi
1814 e quatro volevano fare resistenza Napoleone si è trovato in meso alli nemici li 3. Aprile che era la Domenica delle Parme hanno capitulato ha posato la corona in testa a Loì dieci otto e àNapoleone si è dato lesilio all'Isola del Erba non mi dilongo a parlare delli disonori che anno fato a Napoleon perche voleva esser un libro e cossi tralascio
sichè in Parigi nella Settimana Santa si è trovato la Maggior parte delli Principi del Europa e anno conbinato morti affari dei Statti
La Domenica inarbis la matina dopo luficio e venuto letera da Nizza che eravamo soto il Re di Sardegna si è subito sonato le campane tutto il giorno e fato allegrazza il Martedì prossimo e venuto la posta e à portato la notizia sichura con letera che si facesse la festa
li 24 giorno di Domenica si e fato un gran foco è jluminazion e si è andato Porcessionarmente alla Madona delle Grazie a Ringraziare delli benefici ricevuti
si è piantato un gran albero con bandiera turchina e tutti cridavano aviva il Re di Sardegna grandi e picoli è si e sparato un Rubo porve e tutti li paesi hanno fatola sua festa di allegrezza
1814 li 19. Maggio giorno della Ascenzione del Signore e venuto il primo proclama del Re di Sardegna Vittorio Emanuele con la sua armata e siamo arestati savoiardi come prima
li 29. giorno di Pentecoste si è fato la seconda festa e foco con spari e grande allegrezza e si e portato la Madona procesionalmente in onore del deto Re e si e fissato altri due proclami e arestato abolito la coscrizzion e le successioni
jl primo figliolo che e nato savoiardo e stato il figlio di Benardin cane e Bianca Maria figlia di SecondonoGiò si è messo nome Vitorio Secondo
1821. li 28 Ottobre si e prubicato da Pulpito per il novo Re Carlo felice e cantato il Tedeum[...]

domenica 13 settembre 2009

Domani si ricomincia.......


Domani si ricomincia, lo zaino è pronto.......
Un nuovo anno scolastico, una nuova avventura..............
Auguro a tutte le mie amiche lettrici che svolgono il difficile ruolo di insegnanti di poter svolgere il loro lavoro in un ambiente sereno e senza doversi privare della loro autonomia.........
Auguro a mio figlio di trovare un ambiente sereno in cui potersi esprimere al meglio di se..............
Auguro a me stessa di trovare le forze per poterlo aiutare................
Non posso nascondere che queste ore le sto vivendo con un po' di agitazione.............
Per concludere userò una frase tanto cara a Viviana, buona vita a tutti.

sabato 12 settembre 2009

Il Gigante amico........

Girovagando in YouTube sono capitata in una serie di video originali del Carosello.

Questo era il mio preferito, correva l'anno 1972 e avevo 7 anni, per me rappresentavano momenti unici.....................



Qui potrete rivedere alcuni video


E il vostro preferito?

venerdì 11 settembre 2009

Tarentola mauritanica, conosciuta in Italia come Tarantola Muraiola


Ieri mattina vicino alla mia abitazione ho incontrato questo Geco, sapevo che si trattava di questo piccolo rettile, ma il suo colore e il fatto che fossimo in mattinata e in una zona in pieno sole, mi hanno convinta a fargli una fotografia......o per meglio dire ho cercato di fare una fotografia, il soggetto era in continuo movimento , questa è la meno peggio e si possono vedere le colorazioni marcate del suo corpo.

Ho così inviato una mail a Giancarlo Castello, l'entomologo che mi offre la sua collaborazione che come al solito mi ha fatto avere una scheda dettagliata relativa a questo piccolo rettile, svelandoci molti aspetti positivi.

Giancarlo Castello scrive
[...]
I Gechi, da noi detti labrene, sono considerati tra gli animali più sgradevoli e repellenti, per taluni motivo di vero terrore. In certe zone vengono chiamati Tarantole, allo stesso modo di certi ragni. Nei vari dialetti, con una certa confusione, sono conosciuti come: Scurpiuni, Tignusi, Salamandre, Pistilloni, ecc. Invisi dalla maggior parte delle persone costituiscono invece uno dei rimedi migliori contro qualunque tipo di insetto. Infatti sono coraggiosissimi e astuti cacciatori, ed essendo notturni approfittano del torpore di molte prede durante il sonno, tanto che riescono addirittura a catturare e divorare vespe dal nido. La fantastica struttura dei loro polpastrelli permette loro di arrampicarsi senza scivolare su qualsiasi tipo di parete, compreso il vetro e la plastica lucida. Ciò è dovuto a un sistema che, oltre un fitto ventaglio di lamelle prensili, sembra che sfrutti le leggi del magnetismo. E’ già stato fatto uno studio per imitare tale apparato e applicarlo a speciali guanti adesivi da usarsi in certi lavori. I loro occhi sono a taglio verticale, come i gatti, quindi la pupilla si apre del tutto solo durante la visione notturna. A proposito di gatti, anche i Gechi gradiscono le calde carezze dei loro allevatori. Non rabbrividite, adesso. Queste simpatiche bestiole si possono benissimo allevare, sono affettuosi e molto intelligenti. In certi paesi vengono tenuti sui soffitti degli alberghi per eliminare i parassiti vaganti, a volte insetti molto pericolosi, come la Vinchuca (triatoma infestans) responsabile in Brasile di micidiali infezioni. I Gechi hanno paura di noi, sanno che siamo malèfici e si difendono con la loro presunta bruttezza, che ci suggerisce chissà quali pericolose conseguenze… Ma se ci capitasse di essere meno fifoni e di afferrarli, non potrà succedere nulla, se non vedersi spezzare la loro fragile coda tra le dita. Bisogna tenerli per la testa e carezzarli dolcemente. Non temete le morsicature: le loro mascelle non fanno assolutamente nulla! Conosco molte persone di cultura che ancora oggi credono nella velenosità di questi utilissimi rettili. Vivono benissimo in un terrario per almeno otto anni e potete nutrirli con piccoli insetti vivi, larve della farina o camole della cera, acquistabili nei negozi per l’allevamento di uccelli e di rettili. Imparano presto a riconoscervi e prendono il cibo dalle mani.
La Famiglia a cui appartengono i Gechi è quella dei Geconidi (Gekkonidae in termini scientifici) ovviamente della Classe dei Rettili, Ordine degli Squamati, Sottordine delle Lucertole (Sauri). Nel mondo esistono 1.050 specie di Gechi, in Europa ce ne sono nove, mentre in Italia le specie conosciute sono soltanto quattro e precisamente: Cyrtopodion kotschyi, Hemidactylus turcicus, Phyllodactylus europaeus e Tarentola mauritanica. In Liguria manca la specie Cyrtopodion kotschyi che si trova soltanto in Puglia (si pensa importata casualmente), mentre, sempre considerando la Liguria, il Phyllodactylus europaeus pare sia presente soltanto nelle provincie di Genova e La Spezia.
La specie osservata a Isolabona è la Tarentola mauritanica, conosciuta in Italia come Tarantola Muraiola, originariamente abitatrice degli alberi, adattata attualmente all’esterno delle abitazioni umane. Non vive oltre i 600 metri e riesce a sopportare anche la luce del giorno, ma sempre in uno spazio molto ristretto, mentre di notte il suo territorio vitale è piuttosto ampio e lo difende con tenacia da Gechi estranei. Ama soprattutto le farfalle notturne invischiandole con la saliva. A volte le caccia insieme ad altri Gechi, disposti in piccoli branchi. La Tarantola Muraiola emette anche un lieve verso, un frinìo di protesta, quando viene disturbata. Dalla primavera all’estate, in diverse riprese, la femmina depone le sue piccole uova biancastre che sono adesive e restano appiccicate dentro le fenditure delle pareti o cortecce d’albero secco. Di solito ne depone due (o anche tre) per volta. L’incubazione dura quattro mesi.Il colore che lei ha notato un po' insolito è dovuto soltanto all'ambiente. I Gechi infatti sono per forza di cose mimetici e devono adeguarsi ai colori circostanti. Le specie si riconoscono dalla conformazione e dalle macchie, soprattutto dalla forma delle zampe e delle dita, nonché della testa e le scaglie. Questo per dirle, in caso di perplessità da parte sua, come ho capito che si trattava di una Tarantola. Del resto le specie da noi sono solo tre e non è difficile distinguerla. Purtroppo le foto di Roberta, pur essendo ugualmente interessanti, non mettono in risalto alcuni particolari. Invio perciò la foto di un esemplare della specie considerata. Mi raccomando: d’ora in poi non uccidete i Gechi e parlate loro, per abituarli alla vostra presenza.[...]

Fotografia inviata da Giancarlo Castello


Non posso nascondere che anch'io ho avuto paura di questi piccoli rettili, ma non li ho mai uccisi.
Conosco almeno tre tane-nascondiglio negli anfratti della mia casa, dopo aver letto la scheda di Giancarlo so che in qualche modo mi proteggono.........
Grazie Giancarlo per le belle informazioni che ci regali.


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Aggiunta delle 13,25 di Sabato 12 Settembre

Giancarlo Castello mi ha fatto avere una foto dei polpastrelli, che mostra come sono strutturate le lamelle.

mercoledì 9 settembre 2009

Brava Viviana

Brava Viviana,

la risposta esatta al crittogramma che ho pubblicato ieri è proprio quella che hai dato.

Il canto dei galli

Spero di non annoiarvi con questi giochi, se fosse così fatemelo sapere..........

martedì 8 settembre 2009

Crittogramma sinonimico

Questo è un crittogramma che mi ha dato il mio amico autore di giochi enigmistici, iniziano a piacermi..........domani la risposta.

La Marsigliese

risposta 2, 5, 3, 5

Aiuto:
chiedetevi che cos'è e pensate ai fumetti.

lunedì 7 settembre 2009

Cronaca di un imbroglio in via Guiglia.

Ho ricevuto da Marino Cassini questo contributo storico, la ricostruzione della figura di Guiglia, un medico a cui hanno intitolato un vicolo del nostro borgo, un vicolo forse tra i più stretti e tortuosi......adesso ho capito il perchè.
Ancora una volta il manoscritto di memorie di Gio Antonio Cane ordinate al figlio Francesco, si è rivelato una fonte importante per raccontare una parte della nostra storia locale in un contesto storico molto più ampio, come ad esempio in questo caso l'applicazione di alcune leggi napoleoniche..........
Grazie Marino per aver ancora una volta contribuito a raccontare la storia di questo piccolo paese.........
Sono questi i contributi importanti, sono queste le persone che amano Isolabona.
Ancora una volta mi viene voglia di gridare che senza ricordare la nostra storia con i loro personaggi non possiamo costruire un futuro.
Sarà anche retorica la mia, ma ognuno di noi dovrebbe avere un compito, chi dovrebbe fare il politico, chi l'organizzatore, chi lo storico, chi il comunicatore ecc ecc........come sono convinta che siano finiti i tempi del tuttologo........

L'immagine riprende il manoscritto di Gio Antonio Cane


CRONACA DI UN IMBROGLIO
in Via Guiglia

Di Marino Cassini

Il turista che, uscendo dalla Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maddalena, vuole visitare i carruggi del paese, trova subito alla sua destra una stretta viuzza, Via Guiglia, che si immerge tra le case e che per tutta la sua lunghezza non riesce a ricevere la luce del sole in quanto si snoda sotto le volte delle case addossate le une altre. E se, percorrendola, si chiede chi sia il personaggio che diede il nome alla tetra viuzza, pur domandandolo ai vecchi residenti, scommetto che non otterrà risposta alcuna.
Spesso mi sono anch’io domandato chi fosse quel Carneade e solo di recente l’ho scoperto leggendo il manoscritto (custodito nella Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia) Memorie di Isolabona di Francesco Cane, (figlio di Gio Antonio Cane, anche lui autore di memorie isolesi),.
Del Guiglia si trovano notizie nelle carte manoscritte (dal foglio 20 al foglio 30). In esse si parla diffusamente di intrallazzi per la compravendita di terreni appartenenti alla Chiesa avvenuti nel periodo napoleonico ad opera di tre persone: Medico Guiglia, Giambattista o Giobatta Garin e Gerolamo Bosio i quali con raggiri convinsero Gio Antonio Cane, padre di Francesco, e altri membri appartenenti al Consiglio di Amministrazione della Parrocchia, a firmare carte che poi usarono a loro beneficio per privare la Chiesa di terre e di beni.
Durante il periodo napoleonico, a seguito di una legge che prevedeva la confisca dei beni ecclesiastici, anche i beni della Parrocchia di Isola vennero confiscati e le pratiche passarono nel 1798 al tribunale di Nizza. Nel 1809 il Tribunale mise all’asta le terre confiscate.
Si trattava di 38 appezzamenti di terreni dei quali non era specificata né la metratura né l’ubicazione. In realtà gli appezzamenti confiscati alla chiesa di Isolabona erano 78, ma all’incanto vennero messi solo “38 pezzi”.
Letto il bando di vendita, Medico Guiglia e Giambattista Garin, amministratori comunali, ricevettero l’incarico dal Comune di Isolabona di partecipare all’asta. Il comune diede loro dieci Luigi d’oro per le spese con la clausola che, dopo l’acquisto, le terre venissero riconsegnate alla Chiesa (vedi carta 23). Al loro ritorno i due riferirono di non aver potuto comprare i terreni perché il prezzo era troppo alto. Se li era aggiudicati un certo Albertini, un corso di nascita residente a Nizza col quale avevano, però, preso accordi per un eventuale acquisto. Nel frattempo, secondo gli accordi presi con l’Albertini, il Comune avrebbe dovuto preparare una descrizione dettagliata dei 38 terreni, per presentarla al notaio in caso di rivendita.
Venne così richiesto a Gio Antonio Cane e Gerolamo Moro, esperti nella valutazione di terreni, di scegliere tra i 78 “pezzi” confiscati i 38 di minor valore ed estensione così, l’Albertini, rendendosi conti della ‘pochezza” del suo acquisto, non avrebbe esitato ad alienarli a sua volta ad un offerente.
I due esperti, ritenendo in buona fede il Medico e il Garin, e pensando di agire nel bene della comunità, accettarono e fecero dei terreni una stima assai inferiore al valore reale.
I trentotto pezzi vennero valutati 2000 franchi. L’Albertini accettò l’offerta.
Quando, però, il 5 giugno del 1810 Gio Antonio Cane e Girolamo Moro si stavano recando dal notaio di Dolceacqua per pagare la somma da loro pattuita, si videro venire incontro il Guiglia che li informò che “le terre delle Chiese sono appartenenti tutte a me”. Dopo aver cio deto io GioAntonio Cane me ne sono andato in casa piangendo e ho deto ‘Signore fate Voi la vendeta di questo tradimento” come la spero di vedere avanti di morire.”) (Carta 25)
Alcuni anni dopo, il 27 maggio del 1814, dopo i festeggiamenti in onore di Vittorio Emanuele Re di Sardegna, Medico Guiglia e Giobatta Garino in qualità di Amministratori delle Chiese radunarono in casa del Guiglia alle ore due dopo mezzanotte l’intera Amministrazione Comunale, composta dal Parroco Angelo Bernandin Baixin, GioAntonio Cane, GioBatta Cane detto il Santo, Giacomo Martini fu Domenico
A questi il Guiglia comunicò che avrebbe donato alla Chiesa terreni e casolari e la somma di 5000 franchi.
In precedenza Gio Antonio Cane era stato avvertito dal Parroco Cabagni, suo direttore spirituale e confidente, circa l’offerta del Guiglia e l’aveva consigliato di non firmare alcun atto se prima non avesse ricevuto e letto una copia firmata dal Guglia di quanto l’atto conteneva.
La riunione durò a lungo perché gli Amministratori continuavano unanimemente a rispondere:“ noi non la vogliamo sottoscrivere se prima noi non abbiamo una copia, ossia l’originale da consultarlo, e siamo stati circa due ore in contrasto di questo volere e non volere, siché in quel fratempo è gionto il Reverendo Sig Prete Giuseppe Martino Missionario fratello del sig Giachemo Martin membro della stessa Amministrazione, quegli ha preso quella nota, e l’ha letta, ed ha deto al suo fratello “il presente potete sottoscrivere” e l’ha deto a me. e a tutti li altri, niuno vi volea sottoscrivere, visto questo il Sig Reverendo Missionario ha portato la mano drita sopra il libro, e disse “giuro sopra l’Evangelio che la potete sottoscrivere senza alcun peccato veniale” e noi altri sentito questo l’abbiamo sottoscritta”, (carte 28 e 29)
Quando, qualche giorno dopo, Gio Antonio Cane raccontò il fatto al suo amico il Parroco Cabagni, questi lo rimproverò aspramente dicendo che su quella proposta lui non avrebbe mai giurato sulla Bibbia e aveva concluso: “vedrete che passeranno anni che il deto Guglia di quelle carte se ne servirà per li suoi interessi, e l’Amministrazione poi ne sarà la vittima”.
Fu buon profeta. Passarono oltre due decenni.
Scrive il memorialista: “[Guiglia]… non ha cesso niente perché sino a quest’oggi 1837 non ha ancora voluto passare alcun atto pubblico con dire che viene molestato delle terre che ha (rubato dico io) si rinforza nel territorio di Apricale, e sopra quello di Isolabuona. Siché alle Chiese ha lasciato la campanella da passare per il Paese in cerca dell’elemosina”.
Nel 1836 Gio Antonio Cane fu chiamato dal Giudice di Dolceacqua, Giambattista Rossi per rispondere delle terre vendute (le 38), di quelle non vendute (le 40), su chi le aveva comprate o cambiate e di quelle lasciate alla Chiesa.
L’anno appresso venne di nuovo convocato dall’Insinuatore Grossi di San Remo per dare nuovi chiarimenti
E amaramente l’Autore del manoscritto commenta: “gli ho dati tutti gli schiarimenti possibili come sopra, e tutto questo andrà in niente, ma dico che ne farà vendetta l’Altissimo”. (carta n° 30)

Ed ecco che abbiamo dato un volto al Carneade, cui Isolabona ha dedicato un carruggio buio, stretto e senza sole Che ci sia una inconscia vendetta dell’Altissimo?

venerdì 4 settembre 2009

Sapete calcolare i "giorni" della luna? Se volete impararlo leggete.......

Immagine reperita in rete



Siamo al quattro di settembre ma un caldo come oggi mi sembra di non averlo patito neanche a fine luglio.........
Sarà stato il vento, quell'odioso vento caldo che dalle undici di questa mattina alle diciotto non ci ha lasciato un attimo di pace.
Le previsioni dicono che il fine settimana sarà all'insegna del sole, povere piante, in campagna non vedi un filo d'erba verde da nessuna parte e la terra sembra sabbia......ma quando pioverà in questo lembo di terra che sembra essere stato dimenticato da tutte le perturbazioni?

Questa notte la luna "gira" ha quattordici giorni e l'ho calcolato con il metodo antico dell'epatta, un metodo che si usava una volta per calcolare i giorni della luna, quando chi lavorava in campagna seguiva le fasi lunari per la semina, per la raccolta e per tutte quelle procedure agricole che potevano essere influenzate dalle fasi lunari ( così dicevano )....io non sono ne un'esperta campagnola ne un'esperta dell'influenza lunare, ma ho imparato a contare i giorni della luna grazie a mio marito che a sua volta l'ha imparato da sua nonna.
Senza guardare il calendario ma applicando una regola, non so se si possa definire "matematica".
Ebbene un vecchio modo di dire afferma che il tempo che si ha quando gira la luna lo si avrà per altri quattordici giorni.........A semu beli!!!

Vorrei condividere con voi questo calcolo che, non so in quale campo vi potrà servire, ma trovo che sia bellissimo conoscere e sicuramente di grande effetto se fatto in presenza di persone che lo ignorano completamente.
Se le fasi lunari sono riportate su tutti i calendari vorrà ben dire che a tanti interessano, o no?


Cos'è l'epatta

L'epatta non è altro che il numero di giorni di cui l'anno solare comune di 365 giorni supera l'anno lunare comune di 354 giorni; così l'epatta del primo anno è 11, perché di questo numero l'anno solare comune eccede l'anno lunare comune, cosicché l'anno successivo i noviluni capitano 11 giorni prima del primo anno. Da ciò segue che l'epatta del secondo anno è 22, poiché di nuovo l'anno solare supera l'anno lunare di 11 giorni, che, sommati agli 11 giorni del primo anno, fanno 22 e perciò, finito quest'anno, i noviluni devono capitare 22 giorni prima che nel primo anno; l'epatta poi del terzo anno è 3, perché se si sommano di nuovo 11 giorni ai 22, si fa il numero 33, dal quale, se si tolgono 30 giorni, che fanno una lunazione embolismica, rimangono 3, e così via.

Tutte le epatte aumentano dunque per l'aggiunta successiva di 11, togliendo 30 quando è possibile.

Solo quando si arriva all'ultima epatta, che è 29, e corrisponde al numero d'oro 19, si aggiunge 12, affinché, tolti 30 dalla somma 41, si abbia di nuovo l'epatta 11 come al principio. Ciò fa sì che l'ultima lunazione embolismica, nell'anno 19, sia solo di 29 giorni; se infatti contenesse 30 giorni, come le altre sei lunazioni embolismiche, i noviluni non ritornerebbero dopo 19 anni solari agli stessi giorni, ma si sposterebbero verso la fine dei mesi, e capiterebbero un giorno più tardi che 19 anni prima. Di ciò si troverà di più nel libro sul nuovo metodo di riforma del calendario Romano. Continua a leggere

Quest'anno l'epatta vale 3 per cui per sapere quanti giorni ha la luna oggi si fa in questo modo:

a 3 si aggiungono i giorni del mese (4), poi si conta da marzo a settembre quanti mesi sono passati (7), si fa la somma 3+4+7= 14 oggi la luna ha 14 giorni

se fossimo al 27 di settembre la luna avrebbe.....

3+27+7=37 a cui bisogna togliere 30 ( è una regola fissa, quando eccede i 30) per cui il 27 settembre la luna avrà 7 giorni.

Al primo di gennaio si aggiunge 11 a 3 e tutto ricomincia..........

La luna è affascinante e bella, non so se vi servirà conoscere i giorni della luna, ma se guardandola volete scoprire quanti giorni ha......vorrà dire che penserete un po' anche a me!!!

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giovedì 3 settembre 2009

Complimenti a Skip.....

BRAVISSIMA SKIP, la risposta è proprio questa:

se mi cerchi non ci sono.

Forse i tre semicerchi erano un tantino corti.......ma non capisco per quale motivo il disegno fatto dall'autore non è rimasto con il copio incollo.........ho così dovuto improvvisare e gli unici simboli che più assomigliano a dei semicerchi sulla mia tastiera sono le parentesi tonde.........

Spero di non aver portato nessuno sulla falsa strada e grazie per aver giocato, ne ho davvero tanti e molto carini.....anzi, considerando che tra i miei lettori vi sono molti docenti, Marino Cassini mi ha autorizzato a inviarli a chi li richiede, tenete conto che sono giochi idonei a bambini che frequentano la quinta elementare e la prima media........

Grazie a tutti per aver partecipato;)

mercoledì 2 settembre 2009

Un gioco enigmistico per voi.........

Oggi ho incontrato Marino Cassini e parlando del più e del meno, mi ha raccontato dei progetti scolastici che da anni propone alle scuole e di cui si occupa personalmente.

Essendo autore di giochi di enigmistica, ha sviluppato il crittogramma che trovate di seguito........
domani metterò la soluzione.


LO SCRITTORE ENIGMISTA di Marino Cassini

Un giornalista di un noto quotidiano di Palermo si reca a casa di un famoso scrittore siciliano per una intervista. Giunto davanti all’uscio, vede un vistoso cartello appeso alla porta con sopra la seguente scritta:

( ( (

Conoscendo la mania dello scrittore per l’enigmistica e per la matematica, evita di suonare il campanello e ritorna in redazione perché ha capito che lo scrittore non è in casa,
Come ha fatto a capire che le tre lettere nascondevano una frase composta di 6 parole così suddivise: 2, 2, 6, 3, 2, 4?

(Il crittogramma non è facile. Per risolverlo occorre tener presente che:
- Lo scrittore oltre all’enigmistica ama anche la matematica.
Siamo in terra siciliana dove vige l’uso di mettere il verbo di una frase alla fine.
La soluzione non è… alfabetica, ma geometrica. Quindi devi ragionare sui tre …simboli scritti e chiederti che cosa sono.

martedì 1 settembre 2009

Oggi 2 settembre 1917, di Mario Cassini.

Tempo fa vi parlai di un nostro compaesano che durante la prima grande guerra fu fatto prigioniero dagli austriaci e deportato in un campo di lavoro in Austria, qui .
Si chiamava Mario Cassini, scrisse un diario raccontandoci cose che su libri di storia probabilmente nessuno di noi ha mai letto.
Lo fa in maniera semplice ma in un modo molto esaustivo, raccontandoci la vita del prigioniero in maniera cruda, senza tralasciare nei suoi racconti ciò che provava in quei momenti.
L'aspetto che più mi colpisce, ogni volta che leggo un brano del suo diario, è la forza che dimostra nel voler difendere la sua dignità di uomo, anche se le condizioni psichiche e le forze venivano sempre messe a dura prova dalle condizioni disumane di vita quotidiana.
Lo ritengo una lezione di vita.
Come non posso fare altrimenti leggendo righe di questo genere se oggi nella nostra società c'è chi non da valore a nulla, chi crede che tutto gli sia dovuto senza un minimo di rispetto?
Ciò che provarono questi uomini e chi dopo di loro, vale molto di più di qualunque lezione storia fatta di date e di battaglie.........

Autoritratto di Mario Cassini


[...]

Oggi 2 settembre, improvvisata

Non aspettiamo altro che questa gran domenica come pure le altre per potersi fare un po’ di pulizia o mettersi un po’ in ordine, invece quest’oggi come le altre feste è stata una giornata di rabbia che se ognuno di noi avessimo dato una morsicata a qualche d’un di questi tedeschi l’avessimo avvelenato.
Stamane mentre siamo in baracca tranquilli che ognuno scrive alla propria famiglia oppure ripara scarpe pantaloni ho altro ci vediamo assalire la baracca da sentinelle austriache con un suo sergente, dicendo loro: Ognun prenda la propria cassetta e fuori tutti, al vederci così sorpresi siamo rimasti un po’ spaventati.
Di che si tratta? Non altro che di qualche rivista. Ognun nasconde quel che può, chi aveva qualche paia di scarpe italiane, pantaloni, giubba ecc… Siccome domenica scorsa questa rivista la passarono ad altre baracche siamo rimasti un po’ avvertiti.
Io vicino al mio posto mi preparai il nascondiglio, qualora fossimo anche noi assaliti possiamo nascondere qualche cosa.
Schiodai al soffitto una tavola e fra le travi ci misi una coperta la quale l’avevo in più, una mantellina che la portai d’in Italia la quale ne farò fare una giubba, e ci misi anche il portafoglio con diverse corone, siccome passarono anche la rivista a chi aveva più di 20 corone gli e le toglievano, così io in un minuto mi levai il mio portafoglio, misi a posto la tavola e la fissai per mezzo di un cucchiaio di legno e fui tranquillo noi usciamo fuori e loro incominciano l’operazione. Questi mettevano tutto sottosopra, pagliericci guardarono sotto i tavolacci nei sacchetti di pane appesi al soffitto e portarono via tutto quello che trovarono cioè pantaloni, giubbe scarpe e coperte in più; non badando se queste fossero italiane o americane.
Noi vedevamo questa perquisizione dalle finestre, ma nessun di noi fiatò, solamente pregazioni d’accidenti e altri simili … riuscirono a fare un buon bottino e se n’andarono, e noi senza tante lagnanze rimettemmo il nostro posto in ordine e seguitammo il nostro lavoro.
Dopo dieci minuti il capo baracca dice di passare in rango tutti quelli che hanno bisogno di oggetti di corredo essendoci la distribuzione di questi.
Io pure mi misi tra questi tali avendo una giubba abbastanza fuori uso. Figuratevi che sono 22 mesi che l’ho addosso, l’ebbi a Savona l’anno 1915, il 26 Ottobre questa prese il sole e l’acqua di tutte le stagioni avendola tutti i giorni addosso come pure la domenica.
Essa è ridotta a brindelli che se avessi voluto farla così per dispetto non sarei riuscito a renderla così cenciosa. Beh…
Andiamo al magazzino! C’è la alla distribuzione un sergente austriaco.
Siccome questi di miseria ne sono investiti e non hanno oggetti da cambiare ognun che di noi passava con l’oggetto alla mano questo si immaginava che l’avessimo rotto a posta figuratevi sia le giubbe che pantaloni erano ancora del nostro grigio verde, vale a dire che a quest’ora il suo tempo prescritto l’hanno fatto; malgrado questo qualche d’uno si prendeva qualche schiaffo facendo dietro front e portandosi nuovamente con se il suo cencio. Passai anch’io a mio turno e non presi lo schiaffo, ma neanche mi ha cambiato la giubba. Figuratevi se è poco conosciuta la mia giubba ognun me la chiede per piacere che con questa vogliono farsi la fotografia, anche a me se mi riesce voglio farmi stampare così potrete vedere in che stato ci fanno marciare
Le scarpe fin tanto che si possono trascinare non le cambiavano, ognuno se le rappezza mettendoci per suola dei pezzi di latta cucite col fil di ferro insomma nessun giornalista può descrivere questo Cinematografo quantunque fosse qui presente.
Queste lorde tenute non hanno mai visto sapone, e dall’unto che hanno brillano come quei sacchi di olive il mese di Maggio.
Queste senza essere lavate ne disinfettate le fanno riparare dai sarti nostri prigionieri e nella prossima distribuzione vengono distribuite; come pure le scarpe le quali non possono fare la durata di dieci giorni.[...]