mercoledì 31 marzo 2010

La processione del Giovedì Santo, tradizione a Isolabona fino al 1946.

Immagine reperita su Wikipedia

Domani sarà Giovedì Santo, il giorno in cui si ricorda l'ultima cena di Gesù con i suoi apostoli e il tradimento di Giuda. Nella memorialistica orale di Isolabona, si ricorda una processione che proprio in questo giorno si compiva per le vie del paese. Il 1946 fu l'ultimo anno in cui venne celebrata, oggi è nostro compito mantenerla in vita nei ricordi e nelle tradizioni del nostro borgo.
Di seguito potrete leggere la storia e lo svolgimento della processione a firma di Marino Cassini, che meglio di chiunque altro ha saputo raccogliere le tradizioni del nostro borgo perché non andassero perdute. Memorie che mi ha consegnato perché ne divulgassi i contenuti.

ARIA DI PONENTE

Di Marino Cassini


Quando si parla della Val Nervia, quel lembo di terra che si estende da Ventimiglia alle falde del monte Toraggio, si è soliti citare i borghi di Dolceacqua, di Apricale, di Pigna, dimenticando sempre il paese cha sta al centro del triangolo: Isolabona.
Isolabona è un borgo medievale nato probabilmente intorno all'anno 1000. Il primo riferimento 'databile' si ricava da un documento del vicino comune di Apricale risalente al 1220, nel quale veniva definito col toponimo di Castellum. Più sicuro è, invece, il documento del 3 gennaio del 1287 in cui Isolabona legò, temporaneamente, le sue sorti al comune di Apricale.
Il borgo, sorto alla confluenza di due torrenti, il Nervia e il Merdanzo, nome che tanto piacque a Italo Calvino da eleggerlo a torrente personale di un suo famoso personaggio, quel Cosimo di Rondò, protagonista di Il Barone rampante, ha maturato nel corso dei secoli tradizioni che si sono tramandate sino ai primi decenni del Novecento per poi perdere vitalità e rimanere solo come ricordo nella memoria di qualche vecchio.
Radici che, dal punto di vista folkloristico si sono spezzate e, forse, non si annoderanno mai più, ma delle quali è pur sempre possibile salvarne almeno il ricordo attraverso l’uso della penna.


LA PROCESSIONE DEL GIOVEDI’ SANTO


La tradizione

Con l'Epifania si concludeva il periodo gioioso del Natale e iniziava un periodo di riflessione e di pentimento che terminava a fine Quaresima. A Isolabona questo periodo culminava con una processione del tutto particolare che avveniva la sera del Giovedì Santo.
Si ritiene che la sua genesi affondi le radici in quei movimenti religiosi che diedero vita a numerose associazioni religiose tra cui la Confraternita dei Disciplinanti. Nilo Calvini e Marco Cassini nello studio sul paese di Apricale fanno risalire l'origine delle confraternite a due movimenti religiosi: uno proveniente da Perugia nel 1260 e che si estese a tutta la Liguria; l'altro risalente al 1399, partito dalla Provenza e diffusosi nella Liguria occidentale. Una carta del 1263 citata nel volume di Girolamo Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Comuni della Val Nervia (Bordighera, 1903) parla di una Conflaria (sta per Confraria o Confraternita) di Disciplinanti i quali, credendo che la lotta fra le diverse fazioni o paesi fosse un castigo del cielo, andava pubblicamente di paese in paese flagellandosi a sangue. Il corteo dei Disciplinanti, indossanti una lunga cappa con la croce bianca e rossa cucita sulle spalle, preceduto da un rozzo Crocefisso coperto da un ampio drappellone, percorreva i vicoli al canto dei versetti dello Stabat Mater e del Miserere.
Più dettagliati ragguagli si riscontrano nel volume di Ludovico Giordano, Antichi usi liguri, ( Casale Monferrato, 1933) dove sta scritto che i penitenti "...facevano disciplina della recita del Miserere negli Uffizi dei Morti, negli Uffizi delle Tenebre e della Settimana Santa; facevano processioni espiatorie in occasione di pestilenze; tenevan attaccato al collo un cordone irto di lamine e di chiodi; talora all'estremità del cordone era attaccata una palla di cera indurita, irta di vetri appuntiti; a cotesti strumenti passò per traslato il nome di 'disciplina'. Le cappe portavano una apertura quadrata alle spalle onde permettere la flagellazione della parte nuda.”
Occorre ricordare la Confraternita dei Disciplinanti, se si vuole trovare una spiegazione alla Processione del Giovedì Santo.

Ed eccone le modalità.

Poco dopo il tramonto, col calar delle prime ombre, la processione prendeva il via dall'Oratorio di Santa Croce da dove uscivano i Confratelli della Misericordia che avevano il compito di accompagnare un uomo il cui anonimato - solo i Confratelli dell’Oratorio e il prete erano a conoscenza della sia identità - era assicurato da un cappuccio che gli copriva interamente il capo. Costui vestiva un camice bianco, serrato alla vita da un cordone; una corda gli pendeva dal collo, ai piedi portava solo un paio di calze di lana, spesse e ruvide, nelle quali era stata inserita una suola. Sorreggeva per uno dei bracci una pesante croce di legno. Si trattava evidentemente di un peccatore che voleva così farsi perdonare tutti i suoi peccati.
Il penitente, doveva percorrere un lungo Golgota che dall’Oratorio andava fino alla chiesa di San Rocco, fuori del paese, per poi riprendere la via del ritorno dopo una breve sosta davanti al cimitero.
Il prete non prendeva parte alla cerimonia per cui l'aspetto religioso della manifestazione veniva ad essere dimezzato. Chi la organizzava erano i fratelli della Confraternita della Misericordia i quali, al completo, seguivano la processione, indossando camici bianchi e sanrocchini rossi sulle spalle; ognuno portava una candela accesa in una mano e il libro delle orazioni nell’altra. Il loro compito era anche quello di attorniare il penitente e di allontanare gli ostacoli disseminati lungo quella Via Crucis. Poi veniva tutto il paese alla rinfusa.
Per l’occasione, lungo tutto il percorso, sui davanzali delle finestre venivano sistemati dei gusci di lumaca pieni d’olio e muniti di uno stoppino che, acceso, diffondeva attorno una tenue luce spettrale, e nel buio erano simili a lacrime di fuoco.
Solo all’uscita del paese la processione acquistava una singolare particolarità in quanto, per consuetudine, chiunque aveva la facoltà di coprire di insulti l’incappucciato, di sputargli addosso, di colpirlo alle gambe e alle braccia con rami, di disseminare il percorso con pietre appuntite con rami spinosi e di scagliargli addosso zolle di terra friabile che, sebbene si sbriciolassero al primo impatto, lasciavano purtuttavia qualche livido. Una vera penitenza !
Ma non tutti i penitenti accettavano con rassegnazione la difficile prova per cui accadeva spesso che l'incappucciato, stanco delle sevizie, avesse delle incontenibili reazioni. Talvolta si limitava a bestemmiare come un turco, tal’altra, appoggiata la croce ad un muro, rincorreva i suoi seviziatori senza riuscire ad acciuffarli, ostacolato com’era dal lungo camice e dal cappuccio che gli impediva di vedere chiaramente. La processione allora si fermava per un poco e riprendeva non appena il penitente si rimetteva la croce in spalla per proseguire il suo calvario.
Al rientro nell'oratorio il Priore delle Anime offriva al penitente e ai confratelli un piatto di frittelle di merluzzo e u fugassùn, una specie di torta pasqualina fatta con sole erbe. La tradizione fu rispettata fino al 1946, subito dopo la seconda guerra mondiale.
L'anno successivo, dopo la morte dell'allora parroco Don Tornatore di Dolceacqua, il successore Don Seimandi, la abolì in conseguenza degli eccessi cui i giovani trascendevano (spesso le zolle venivano tirate anche a chi seguiva la processione) e perché, dal punto di vista religioso, capitava quasi sempre che l'incappucciato (l'ultimo della serie fu certo Pastore Federico), invece di procacciarsi indulgenze, aumentasse la somma dei suoi peccati con qualche serqua di colorite bestemmie quando zolle più compatte e sode raggiungevano il bersaglio.





martedì 30 marzo 2010

Il risveglio della primavera e fichi.

Sabato pomeriggio in compagnia di gtu, mio figlio, ho fatto un giro in campagna con la speranza di trovare fiori e gemme da fotografare. Purtroppo, complice il freddo inverno, la vegetazione stenta a manifestare la sua rinascita. Gli unici fiori che ho trovato sono le Orchidee Barlia robertiana, ve ne parlai già l'anno scorso in questo post e ad essere sincera neanche tante per il periodo in cui siamo. Ve ne sono molte allo stato fogliare e pochissime già fiorite, come ad esempio questa che potete vedere nell'immagine sopra.



Queste immagini le ho scattate ieri sera nel mio giardino, quando l'oscurità era totale, sono i fiori della Lunaria annua, ve ne parlai qui.

La mia attenzione è stata attirata da un grosso albero di fico che trova ospitalità in una nostra campagna. I fichi sono piante presenti in quasi tutte le campagne, a significare che nel passato rappresentavano una fonte importante di nutrimento. Ho fatto alcune ricerche sul sito del Professor Bartolomeo Durante, Cultura Barocca e ho scoperto che la coltivazione di fichi del Ponente Ligure ha origini antichissime.

Bartolomeo Durante scrive:
FICHI (FICHETI)

[...] La gran quantità, fino al '600, di coltivazioni di "fichi" (spesso detti "ficheti" in coltivazioni aggregate a "vigneti") era dovuta al fatto che per l'assimilazione di zuccheri (data la contrazione dell'apicoltura e della produzione di miele, molto più diffusa in epoca romana ed imperiale) per tutta l'età intermedia i ceti rurali e meno abbienti si valsero del frutto della pianta (appunto ricco di zuccheri) che tra l'altro, di per sè stesso, possiede notevole valore nutritivo e, essiccato, costituisce e soprattutto costituiva un alimento facilmente trasportabile nel corso di viaggi lunghi per via di terra e soprattutto per mare.
Grazie alla dott. Daniela Gandolfi dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera è stato possibile consultare l'ottocentesca relazione del Gallesio sulla tipologia dei FICHI DEL PONENTE LIGURE che rimandano ad una vicenda agronomica antichissima (per quanto talora l'ambiente risultasse danneggiato da calamità varie con conseguente carestia) e dei quali è stato possibile visionare, sui "Disegni dell'Archivio Piuma - Gallesio di Genova" gli ESEMPLARI TIPICI NELL'AGRO TRA VENTIMIGLIA E SANREMO tra XVIII e XIX secolo, esemplari comunque che rimandano a tipologie colturali talmente antiche che sulla origine o introduzione non si hanno tracce nemmeno nel '200, periodo in cui la coltura di queste piante sembra già una costante di consolidata tradizione agricola[...] .
Da questo link si può accedere alla specie di fichi coltivate sul territorio di Ventimiglia
Mentre da questo si può accedere a una galleria fotografica che ci fa scoprire alcune le specie coltivate nell'agro compreso tra Ventimiglia e Sanremo.
Sempre da Cultura Barocca possiamo leggere alcuni riferimenti di atti notarili risalenti al 1200
in cui si parla di fichi:
[...]Dal ducentesco notaio de Amandolesio si deduce come, per questi borghi, le proprietà fossero estremamente spezzettate, coi terreni confinanti quasi sempre appartenenti a 4 proprietari: e in tutti molte terre incolte venivano concesse ad plantandum (o ad medium plantandum ) ed in pastino, cioè furono gradualmente disboscate per favorire, in genere, la coltura delle VITI o degli alberi di FICHI (L. BALLETTO, Agricoltura e agricoltori a Ventimiglia alla metà del Duecento, in "Rassegna Storica della Liguria", (1974), n. 1, pp. 12-3).

Un peculiare contratto di locazione (ad laborandum = per doversi lavorare) aveva la durata di sei anni e l'esempio più significante fu quello stipulato in un atto (19-V-1258, in Ibidem, cart. n. 56, atto n. 207) da Oberto Giudice del fu Raimondo che, come curatore dei fratelli Giovanni e Marineto, appunto concesse ad laborandum a Guglielmo Lorenzi, per un periodo di sei anni, omnes terras cultas et incultas, aggregatas et non aggregatas, da lui controllate in valle Vervonis, a colla de Banchis usque ad acquam Vervonis ad eccezione di quelle già ad altri concesse ad plantandum.
Una vasta proprietà sull'attuale sito di Vallecrosia sino a Vallebona venne quindi affittata a questo Lorenzi che, in qualità di canone annuale, doveva ai Giudice la quarta parte omnium blavarum e la metà dei FICHI (da portare a sue spese, data la lontananza e in segno di ossequio, a Ventimiglia, nell'abitazione di quei potenti latifondisti)[...].

Tanta storia anche intorno a una pianta di fico, non l'avrei mai pensato.

lunedì 29 marzo 2010

Blogger e le immagini capricciose

Questa sera avrei voluto scrivere un post accompagnato da alcune mie fotografie scattate in questi giorni ma, il sistema fa i capricci e oltre ad aver fatto sparire dai miei post molte fotografie, non mi permette di caricarne di nuove. Spero che si tratti di un problema della piattaforma e che nulla sia andato perduto.
In realtà nessuna mia foto va persa perché utilizzo Picasa come strumento di archiviazione delle foto e se fosse successo l'irriparabile, dovrò solo avere pazienza e rifare il caricamento una a una, certo che sarebbe una bella scocciatura!!!
Comunque già che ci sono vi consiglio di dare un'occhiata a Picasa di google, aprite questo link e cliccate su Picasa, potrete scaricare un facile sistema di archiviazione delle foto e filmati online, un modo per mettere al sicuro le vostro foto importanti che potrete condividere con i vostri amici anche tramite mail oppure condividerle con un pubblico molto più ampio, sta a voi scegliere le modalità di condivisione.
Ho controllato il blog, le foto vanno e vengono, prima credevo fosse un problema del mio pc visto che il mio anti virus era entrato in funzione bloccando il trojan di turno!!!

venerdì 26 marzo 2010

Limerik all'ombra della torre dei Doria.

L'amico Marino Cassini, immagine reperita qui


Tempo fa ho ricevuto questi limerik da Marino Cassini. L'idea era di coinvolgere me e i lettori del blog con il componimento di poesie demenziali e senza senso. Ho provato a crearne uno ma, proprio non ci riesco. Potrebbe anche essere che sono talmente demenziali che mi sembra inopportuna la pubblicazione.
Perché non provate voi? Potrebbero uscire dei limerik divertenti.

LIMERICK ALL’OMBRA DELLA TORRE DEI DORIA

POESIA DEMENZIALE E SENZA SENSO

Di Marino Cassini

(Il genere poetico “limerick prende il nome dalla città irlandese di Limerick dove una guarnigione di soldati, in attesa di essere inviata a combattere in Francia sotto le insegne di Luigi XIV, passava il tempo ad inventare brevi poesie di cinque versi dallo schema fisso (AABBA), in cui l’ultimo verso riprendeva il contenuto leggermente variato del primo.

Il limerick è un breve pensiero demenziale, un non-senso, un fatterello privo di logica, scritto per puro divertimento. Trovò nel poeta inglese Edward Lear il suo esponente principale quando pubblicò il volume da lui scritto Il libro dei non sense.

Eccovi alcuni esempi che ho scritto questa estate torrida, in momenti di follia, dovuta ai raggi del sole cocente.

VINO “DOC”

Un vecchio contadino isolese

faceva il semicupio nel rossese.

Sosteneva che anche lo sfintere

aveva pure lui diritto a bere,

quel gaudente contadino isolese.

PICNIC LUNGO IL MERDANZO

Un vecchietto, sulle rive del Merdanzo

un’anguilla avea invitato a pranzo.

La voleva cucinar nella padella

con uva, salamini e besciamella,

quel goloso vecchietto del Merdanzo.

SULLE PENDICI DEL TORAGGIO

Un pastore solitario sul Toraggio

affrontava le tempeste con coraggio.

Cavalcava le saette con perizia

per cercare solo amore e amicizia,

quel romantico pastore del Toraggio.

martedì 23 marzo 2010

Librerie virtuali, una fonte straordinaria.

Tempo fa vi avevo parlato di google libri, uno strumento eccezionale in cui possiamo trovare innumerevoli libri storici pronti per la consultazione digitale. Un'altra fonte molto interessante è Internet archive.
Qui ad esempio ho trovato numerosi testi in cui sono presenti immagini di straordinaria bellezza.
Il più interessante, a mio giudizio, è il libro dal titolo The Riviera painted & described by William Scott 1907. Sfogliandolo ho trovato numerosi disegni della nostra bella valle, ma non si limita a questa zona, perché Scott è stato un artista viaggiatore.


Queste due immagini si riferiscono a Camporosso, il primo comune che si incontra risalendo la val Nervia.
Questa è la più nota Dolceacqua.
Sfogliandolo potrete scoprire altre immagini bellissime...a riprova che questa fonte, insieme a google libri, sono eccezionali.

sabato 20 marzo 2010

Equinozio di primavera

“Hevelius e il suo telescopio”, XVII secolo
Immagine reperita in rete



Questa notte con l'equinozio di primavera, finirà ufficialmente la stagione invernale. Il cielo di marzo ci regalerà anche la visone di Saturno
Le previsioni del tempo non promettono niente di buono per tutta la settimana, speriamo sia l'ultimo colpo di coda di questo freddo e piovoso inverno.
Di seguito potrete leggere un piccolo brano dedicato a Saturno tratto da Palomar guarda il cielo di Italo Calvino.
«Saturno, eccolo nitidissimo, bianchissimo, esatti i contorni della sfera e dell’anello; una leggera rigatura di paralleli zebra la sfera; una circonferenza più scura separa il bordo dell’anello; questo telescopio non capta quasi altri dettagli e accentua l’astrazione geometrica dell’oggetto; il senso di una lontananza estrema anziché attenuarsi risalta più che a occhio nudo. Che in cielo stia ruotando un oggetto così diverso da tutti gli altri, una forma che raggiunge il massimo di stranezza col massimo di semplicità e di regolarità e d’armonia, è un fatto che rallegra la vista e il pensiero. ‘Se avessero potuto vederlo come ora lo vedo io, - pensa il signor Palomar, - gli antichi avrebbero creduto d’aver spinto il loro sguardo nel cielo delle idee di Platone, o nello spazio immateriale dei postulati di Euclide; invece quest’immagine, per chissà quale disguido, arriva a me che temo che sia troppo bella per essere vera, troppo accetta al mio universo immaginario per appartenere al mondo reale. Ma forse è proprio questa diffidenza verso i nostri sensi che ci impedisce di sentirci a nostro agio nell’universo. Forse la prima regola che devo pormi è questa: attenermi a ciò che vedo.’»
(Italo Calvino 1983)

Questo video invece, ci descrive il cielo del mese di marzo, un ottimo modo per imparare a leggere il cielo.


venerdì 19 marzo 2010

Liguria di Ponente, lo spot dell'agenzia regionale.


Spot Liguria "Ponente" 2010 - cliente: Agenzia regionale per la promozione turistica In Liguria - produzione:Videoproff - Regia: Marco Bonfante - Dirett. Fotografia: Riccardo Gambacciani.


In trenta secondi raccontare la Liguria di Ponente non è facile, con questo video di promozione turistica del nostro territorio ci hanno provato, il risultato è soddisfacente con belle immagini, la nostra Val Nervia con Dolceacqua, fa la sua bella figura.

Sotto invece potrete vedere un video pubblicitario girato anche a Isolabona. Si possono ammirare anche i cortili e alcune sale del castello di Dolceacqua.
Le immagini girate a Isolabona, riprendono la via principale che attraversa il centro storico con la pavimentazione in porfido che recentemente è stata sostituita, un documento filmato che ci permette di documentare un cambiamento urbanistico importante.




giovedì 18 marzo 2010

Cinquantamila visite, ecco cosa cercano sul blog.

Ebbene si 50.000 visite raggiunte in diciotto mesi di attività del blog.Non posso nascondere la mia contentezza, ma quali sono gli argomenti che più attirano visitatori verso questo blog?
Gli scobydoo sono sempre tra i più ricercati, bello sapere che resistono nel tempo!
Ercolino sempre impiedi fa parte dei miei ricordi ma probabilmente di tante altre persone. Il Terremoto nel Ponente Ligure del 1887  è l'avvenimento storico più ricercato mentre Monet-Dolceacqua  è l'artista che ha saputo creare un ritratto unico e sempre attuale.  La sezione dedicata alla natura viene giornalmente aperta, al primo posto troviamo ricerche sui diplopodi-pachyiulus ovvero i millepiedi e chi visita questo post non può fare a meno di "rubacchiare" anche qualche foto... A proposito di foto, quelle vecchie e queste  piacciono.
Saper calcolare i giorni della luna interessa ancora, infatti, l'epatta è quasi quotidianamente cliccata.
E chi di noi non ha incontrato un bel ragno crociato come questo? In tanti a considerare le ricerche.

Ma ciò che mi fa più piacere è sapere che ci sono molti amici che visitano il blog per leggere ciò che scrivo, e questo è la cosa che più di ogni numero mi riempie di gioia.
Grazie e ancora grazie, Roberta.

mercoledì 17 marzo 2010

Cambiano il giudice e si rifà la causa, lo sapevate?


J. Baudoin, De l'administration de la Justice, 1659


Fino alle undici di questa mattina, credevo si potesse chiudere un procedimento penale presso il giudice di pace in cui mi sono costituita parte civile. Ebbene mi sono illusa, non conoscevo la norma che prevede che in caso di nomina di un nuovo giudice, viene data la possibilità all'accusato di chiedere il rinvio del procedimento con l'effetto di ripetere l'intera causa. Il giudice non può dire di no. Questo, in poche parole, si traduce nel ripetere dall'inizio l'intera causa, ascoltare le parti, i testimoni e chi più ne ha ne metta. Ebbene, questa è stata l'amara sorpresa che mi si è presentata questa mattina, doveva essere l'udienza delle conclusioni e della sentenza, invece, si dovrà ripetere l'intero procedimento.
A questo punto mi chiedo, chi ripagherà il tempo perso di due anni di udienze?
Di una cosa sono certa, il decoro e l'onore di una persona va difeso e io sono pronta ad affrontare altri due anni, con la speranza che il giudice rimanga per il tempo necessario...

lunedì 15 marzo 2010

La nuova via di comunicazione della vallata, 1850

La strada carrozzabile che ci permette di raggiungere la costa in breve tempo, fino alla metà del 1800 era rappresentata da un'antica mulattiera. Il suo tragitto non era quello dell'attuale strada, infatti in diversi punti della valle si doveva passare dalla sponda destra a quella sinistra del torrente Nervia. Ad esempio a Dolceacqua questo avveniva in prossimità della chiesa di San Giorgio, la chiesa cimiteriale dove, un ponte ligneo permetteva di guadare il torrente.


Risale al 1850 la costruzione nel fondovalle del Nervia della carrozzabile (in sostituzione dell’antica mulattiera) che collega tutti i paesi alla costa e a Ventimiglia. Ciò agevolò i traffici verso il mare, verso il levante ligure e ancor più verso la vicina Francia. La carrozzabile, che poi raggiunse anche il Buggio, agevolava pure i contatti col Piemonte i quali avvenivano, però, come per il passato, solo attraverso sentieri e mulattiere, collegate alle zone della vallata del Roja, Briga, Tenda, Saorgio.

Ecco che tipo di vegetazione accompagnava i viaggiatori percorrendo la valle. Quella che potrete leggere di seguito è la descrizione fatta da Francesco Panizzi, esperto botanico dell'epoca, nel libro Storia del marchesato di Dolceacqua e dei comuni di Pigna e Castelfranco, di Girolamo Rossi, edizione 1862.
Chissà quante di queste specie botaniche hanno resistito e se ce ne sono di nuove!!!



venerdì 12 marzo 2010

PROGRAMMA PER IL RECUPERO E LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO E CULTURALE DI ISOLABONA


Tutto ha avuto inizio l'estate scorsa. Con Paolo Veziano abbiamo iniziato a parlare di un progetto culturale per Isolabona. Un progetto ambizioso. PROGRAMMA PER IL RECUPERO E LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO E CULTURALE DI ISOLABONA, questo il titolo. Il gruppo di lavoro si è allargato e alla fine ci siamo ritrovati in sei. Nel mese di dicembre ho consegnato personalmente il progetto in comune e finalmente ci è stato comunicato che verrà attuato. Il suo percorso avverrà in un arco temporale di cinque anni perché il lavoro da fare è tanto. Di seguito potrete leggere le motivazioni che ci hanno spinto a intraprendere questa strada.

Motivazioni

Si dice che la Storia sia una ottima maestra, ma che non abbia allievi; si dice anche che un popolo senza memoria sia destinato a non avere futuro. Si tratta di due assunti che non devono essere interpretati come una evidente critica indirizzata all’operato delle precedenti Amministrazioni comunali e, ancor meno, a quella appena insediata alla quale mi rivolgo a nome di gruppo di lavoro composto (Alberto Cane, Marco Cassini, Lorenzo Cortelli, Roberta Sala, Anna Maria Sicardi) che assieme a chi scrive condivide i legami e l’affetto per la nostra terra, la passione e un impegno concreto rivolto alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio etnografico, storico e culturale.
Ignorare la propria Storia è una deplorevole forma di miopia largamente diffusa nel nostro Paese, ma nel caso di Isolabona si ha la pervasiva sensazione di imbatterci in una lunga e imbarazzante forma di amnesia. Che nessuno sia profeta in patria è una ovvietà che ci saremmo anche potuti risparmiare se – per colmo di paradosso – proprio nel nostro paese non fossero nati o con esso non avessero mantenuto stretti legami tre personaggi della levatura intellettuale di Fortunato Peitavino, Andrè Cane e Marino Cassini.
Cane e Cassini con pazienza e competenza hanno saputo aggirare le gravi ed irreparabili perdite documentarie riscontrate nel nostro non riordinato Archivio storico e tutte le difficoltà metodologiche che implica il forzato riferimento alla seppur preziosa frammentarietà della memorialistica disponibile e all’utilizzo delle fonti cosiddette di «seconda mano». E a loro va la nostra gratitudine e il nostro riconoscimento per essersi occupati con i loro scritti – cui si accennerà più avanti – della nostra storia e delle nostre antiche tradizioni. Più complessa – per via del respiro europeo del suo pensiero e della sua opera e delle frequentazioni – è certamente la figura di Fortunato Peitavino che merita di essere studiata a fondo per poter essere adeguatamente valorizzata. Anche di Peitavino e dell’articolato programma di recupero che lo riguarda si tratterà poco sotto.
Ripescare dall’oblio in cui sono stati rilegati sia questi personaggi sia i loro fondamentali lavori appare, oggi, alla luce delle considerazioni sopra espresse, una esigenza non più prorogabile.

Quello che segue è una sintesi del programma che abbiamo presentato.

Recupero, riordino e sistemazione del fondo documentario ed iconografico di Fortunato Peitavino attualmente conservato presso il Camping delle Rose
Pulizia, ripristino ed eventuale intitolazione dell’antica via di comunicazione per Pigna, meglio nota come sentiero della Cupeia, a Fortunato Peitavino
Pomeriggio di studio «Fortunato Peitavino: un naturista a Isolabona nei primi decenni del Novecento».
Inizio lavori di riordino dell’Archivio storico comunale a cura di Roberta Sala e Paolo Veziano (l’iniziativa si svolgerà grazie alla consueta opera di volontariato)
Presentazione del volume di Marino Cassini Sotto la torre dei Doria
Presentazione della ristampa tradotta del volume di Andrè Cane Au fil de la Nervia
Presentazione del volume comprendente gli «Atti del Pomeriggio di studio» e la ristampa del libro di Fortunato Peitavino La rigenerazione umana
Presentazione dei risultati del riordino dell’Archivio storico
Inaugurazione di una sala dedicata a Fortunato Peitavino

Ci sarà tanto da lavorare, ma ce la faremo!!!













mercoledì 10 marzo 2010

Cortometraggio girato a Isolabona nel 1962.

Da 2010_03_10

L'essere sempre alla ricerca di notizie storiche riguardanti il mio Borgo è da un po' di tempo un impegno che mi porta ad effettuare ricerche in diversi campi. Aver incontrato una persona come Alfredo Moreschi lungo questo percorso, lo considero un evento eccezionale. Oltre ad essere il fotografo di San Remo, che possiede uno degli archivi storici fotografici più importanti della Liguria di Ponente, un esperto di botanica che mi "regala" schede incredibilmente belle sui fiori spontanei della nostra terra, è anche un autore di cortometraggi girati in vari Borghi tra cui Isolabona. Essendo Alfredo Moreschi una persona generosa, mi ha fatto avere diversi cortometraggi tra cui quello girato a Isolabona nel 1962. Prima di giungere tra le mie mani, ci sono voluti molti mesi e l'interessamento di un'altra persona che ha permesso che ciò avvenisse.
Nando Scanu, del cine club Sassari, ha recuperato il cortometraggio e finalmente è a mia disposizione.
In questo breve cortometraggio, di cui ho inserito nel video una piccola parte, possiamo rivedere alcune vie, il ponte e il buteghin della Isolabona del 1962 e cosa straordinaria, a parer mio, possiamo rivedere alcuni negozi che oggi appartengono solo alla memoria di poche persone, come ad esempio l'edicola e la sua proprietaria.

domenica 7 marzo 2010

Auguri a tutte le donne

Donna africana
smarrita
nei falsi miti
d'una terra non tua.
Nel tuo sguardo
agonizza,
la gazzella di ieri.

Fanciulla dell'Est,
quasi bambina.
Turpi mercanti
di carne viva
fanno a pezzi la tua vita
cedendola
a peso d'oro.

Non farti distrarre
dal consumismo Donna!
Un giorno di mimose,
non cancella
millenni di ortiche.

Queste sono tre di alcune poesie di Sara Rodolao raccolte nella sezione "Tutto fuorché mimose" del libro di poesie I Fichi di ottobre
È il mio omaggio a tutte le donne, e un modo di dire a Sara GRAZIE, con la speranza che le donne continuino a lottare per la loro libertà in ogni parte del mondo.


venerdì 5 marzo 2010

Specie del genere Primule, piante frettolose

Oggi è stata per me una giornata tranquilla, ho così potuto dedicarmi al mio piccolo giardino. Erbacce da estirpare e qualche potatura, nell'attesa che la natura faccia il suo corso. Tra qualche viola già in fiore, il giallo delle primule risalta ancora di più. Le primule sono definite piante frettolose, perché anticipano la bella stagione. Le previsioni del tempo non promettono niente di nuovo per i prossimi giorni, la neve è prevista a quote basse, sarebbe la terza nevicata di questo freddo inverno, e la cosa non mi piace per niente. La fioritura di queste primule mi ha però rincuorata, la primavera è alle porte. Di seguito potrete leggere una scheda tecnica scientifica redatta da Alfredo Moreschi, il fotografo di San Remo grande appassionato di botanica, che mi fornisce informazioni scientifiche sui fiori che spontaneamente crescono nei nostri luoghi. Anche questa scheda è molto completa, non si limita a dare informazioni scientifiche su generi e specie ma ci racconta anche il loro utilizzo nella medicina popolare, nell'erboristeria e nell'arte culinaria, senza tralasciare la storia e i battesimi dialettali liguri.

Per chi ha interesse a sapere qualcosa di più sulle primule, consiglio di leggerla perché offre informazioni molto interessanti.

Alfredo Moreschi scrive.

Le Specie del genere Primula

Primula vulgaris: Poéte a Genova, Oégia d'urpe o d'urso” a Santa Margherita, Trombette in Valle d’Arroscia, Cucchetti a Mele, Trombette a Sant’Olcese, Donne a Rossiglione, Pampanàn, Pampippo, Pan d’a Madonna ad Imperia, Margherita sarvaega nella Val Polcevera, Giano a Quinto, Sciua primavera a Valleggia, Braghe di cuccu a Voltaggio, Uregge d’asu a Sarzana, Uégge d’aze a Chiavari, Sciua de primavera a Valleggia.
Primula elatior: Trombette a Sant’Olcese
Primula veris: Bragàtte, Brae du cùccu a Nava, Oregge d’orso ad Imperia


Gran parte delle Primule appartiene alla schiera delle piante frettolose, anticipatrici del risveglio della natura e dell'arrivo imminente della bella stagione.
Proprio per questa loro fretta, secondo Shakespeare, “muoiono zitelle” perché non riuscirebbero mai a sfruttare a pieno l’opera di pronubi ancora immersi nel lungo sonno invernale.
Simboleggiano quindi la prima giovinezza e l’insieme delle sue prerogative più preziose; anche se sarebbe necessario, dicono gli esperti, portarle sopra il cuore assieme a cristallo di rocca per amplificare i loro presunti effetti rigenerativi.

La denominazione sottolinea la fretta di anticipare la maggior parte delle altre specie primaverili, ma è necessario dire che in precedenza, un antico e diffuso sfruttamento come medicinale polivalente, aveva fatto attribuire alla Primula vulgaris il nome di "Sanicula", usato da Andrea Mattioli e dai medici suoi contemporanei.

Il termine, proveniente dal latino sanare guarire, sopravvive tuttora come nomenclatura per un Genere composto da 40 specie, rappresentato in Liguria dalla Sanicula europaea, una minuscola, graziosa Ombrellifera molto famosa fra gli erboristi settecenteschi per la sua azione astringente.

Altri due battesimi, entrambi attribuiti alla Primula veris, nelle opere dei botanici Corrado Gessner e Mathias de L'Obel, quelli di "Artritica lunaria" e di "Paralitica alpina" o addirittura "Paralisi", rivelano insospettabili impieghi terapeutici della nostra pianta, prescritta per guarire le diverse affezioni articolari; ma era anche ritenuta capace di porre rimedio alle paralisi in genere ed a quelle della lingua in particolare, facilitando l'eloquio anche ai balbuzienti più impacciati.

Del resto, anche nei testi stranieri di erboristeria più antichi, ne citiamo uno per tutti The Great Herball di John Gerard edito nel 1597, sono elencati sia i battesimi che le applicazioni pratiche delle Primule allora note che, fra l'altro, iniziavano la loro prepotente ed ininterrotta penetrazione nei giardini.

Nello stesso periodo anche Paolo Bartolomeo Clarici, citava i suindicati battesimi così trasparentemente derivati dall'uso medicinale; ma non dimenticava, nel contempo, di sottolineare un proverbio molto in auge presso gli erboristi francesi: “Chi ha la Bugola e la Sanicula può dar la burla ai chirurghi". L' adagio è indicativo del suo presunto utilizzo anche come vulnerario per la cura di ferite ed abrasioni importanti.

L'Abate Kneipp prescriveva ai suoi pazienti artritici di bere almeno una tazza al giorno di tisana di Primula per assicurare l'attenuazione dei dolori nello spazio di poche settimane.
Era confortato nella sua pratica dall'autorevole giudizio di Linneo il quale aveva affermato in precedenza: "i fiori sono calmanti e favoriscono il sonno". Altre noiose affezioni come l'isteria, le cefalee, le vertigini, furono a lungo curate con decotti ricavati dalle parti fiorite, verdi o disseccate, d di Primula.

Anche la sua radice, secondo il medico francese Leclerc, poteva rendersi preziosa perché aumenta la secrezione di liquidi interni, saliva ed umori bronchiali, facendone uno specifico per bronchiti, polmoniti, semplici raffreddori e tosse asinina; in uso esterno curava contusioni e gonfiori agli arti.

A quei tempi, un diffuso rimedio per attivare la buona circolazione sanguigna era anche il "Vino di primula", ottenuto dai fiori macerati in una bottiglia di vino bianco secondo la ricetta inventata da una certa Mrs. Hanna Glasse, autrice di un manuale di arte culinaria agevole e semplice, edito nel 1747.

“Prendete 24 litri d'acqua, 12 libbre di zucchero, il sugo di 6 limoni, il bianco di 4 uova, sbattete il tutto vivamente, versate in una caldaia facendo poi bollire per mezz'ora schiumando accuratamente; prendete quindi uno staio di fiori di Primula veris se freschi, oppure mezzo staio se già secchi e metteteli in un bacile con le bucce dei 6 limoni, versandovi sopra il liquido bollente. Rimescolate con cura; allorché il tutto sarà raffreddato, aggiungete una sottile fetta di pane abbrustolito spalmata di lievito; lasciate macerare per 3 giorni; se prima di guastarsi aggiungete 6 once di sciroppo di limone ed un quarto di vino dei Reno, avrete fatto un eccellente complemento. Il terzo giorno filtrate attraverso un panno di flanella versando il tutto in una botticella che lascerete aperta per 2 o 3 giorni allo scopo di osservare se la macerazione si compia regolarmente, dopo di che rinchiuderete con cura”.

Dal resto, i petali profumati delle Primule spontanee sono stati usati e servono tuttora per migliorare il bouquet del vino, impedire l'inacidimento delle birre. Gli svedesi li mescolano al miele ricavandone, per fermentazione, un liquore da dessert. I pasticceri li candiscono per decorare i dolci più prestigiosi. In cucina le foglie tenere possono essere consumate fresche in insalata oppure in minestre e zuppe; le corolle sono tuttora una originale decorazione per le macedonie di frutta, le composte, i dolci o le gelatine, mentre il rizoma serve per aromatizzare la birra.
Dall’antichità classica giungono inspiegabilmente poche notizie riguardanti le Primule, e solamente Plinio ne parla chiamandole "Erba delle dodici Divinità":”Dopo questa, l'erba più importante è quella detta Dodecateo, raccomandata in nome della maestà di tutti gli dei. Dicono che, presa in pozione nell'acqua, curi tutte le malattie. Dalla sua radice, gialla, vengono fuori sette foglie, molto simili a quelle della lattuga”.

Il genere è vastissimo comprendendo attorno alle 550 unità specifiche generalmente native delle zone temperate e fredde dell'emisfero settentrionale con poche eccezioni come la Primula magellanica dell'America australe, due specie di Giava e le poche africane.
Un discorso a parte merita la mitica Primula allionii sopravvissuta sino ai nostri giorni in limitate località delle Alpi del mare. Con molta probabilità costituisce il prezioso legato ereditario dell'antichissima vegetazione subtropicale, abituata al clima umido e moderatamente caldo che esisteva nella zona prima delle glaciazioni del quaternario; allora, milioni di anni fa, la Primula allionii segnava un areale molto più vasto nascendo su ogni versante delle Alpi dove è riuscita a sopravvivere in due sole e discontinue località: negli fessure dl rupi ed anfratti calcarei al centro della Valle Roya ed una cinquantina di chilometri più a Nord nella Val Gesso.
Il loro vero focolare d’origine resta l'Oriente dove un centinaio circa di specie vive nella regione Himalayana, in America settentrionale, Giappone e Cina.

Le Primule sono erbacee perenni, raramente annuali, rese famose dalle splendide fioriture cha hanno in più la spettacolarità di mostrare talvolta fiori dissimili sulla stessa pianta.
Gli stami delle Primule nascono nel profondo della corolla o sono inseriti nei pressi dell’uscita: i primi si accompagnano ad un pistillo dal lungo stilo, mentre nei secondi la situazione si inverte perché il pistillo ha stilo breve. Con questi stratagemmi lo stimma si trova quindi sempre ben distante dalle antere costruendo le premesse più favorevoli all’impollinazione incrociata attuata da insetti (farfalle diurne e notturne, calabroni, api) penetrati nella corolla a caccia di nettare.

La maggior parte delle Primule sparge i semi attraverso valve aperte nei frutti maturi, alla sommità di steli secchi, elastici ed eretti che movendosi sotto la spinta del vento agiscono da aspersori: altra particolarità degna di rilievo riguarda le fessure che si richiudono con il tempo umido.
Fa eccezione a questa tecnica di propagazione della specie la Primula vulgaris il cui frutto lungamente peduncolato si adagia sul terreno dove i germi saranno diffusi dall’opera dell’acqua o dalle instancabili formiche operaie. Del resto, i semi delle Primule di montagna sono notoriamente esigenti perché non germogliano se non dopo essere stati mantenuti al freddo intenso e bene esposti alla luce. Chi li raccoglie dalle stazioni spontanee e li vuole piantare deve, quindi, tenerli per alcuni giorni in frigorifero per simulare una vernalizzazione, sostituiva del periodo freddo al quale sono abituati da milioni di anni.


Molte Primule sono state adattate come piante d’appartamento e fioriscono agevolmente in casa sopportando le condizioni artificiali, ma possono dare origine a forme di allergia per chi ne sia sensibile, sia toccandole che semplicemente stazionando nelle vicinanze. L'eczema in questione è causato dalla primaverina, sotto forma di minuscole goccioline immediatamente volatili, secrete dall'apice di corti e grossi peli posti lungo lo scapo fiorale. Basta un cinquantesimo di milligrammo per dare origine ad una serie di noiosi pruriti ed arrossamenti cutanei.

Non causa tali inconvenienti la coltivazione delle Primule nell’ambito orticolo, ambito in cui il lungo cammino è stato, agli inizi, costituito quasi esclusivamente dai cespi della Primula veris strappati ai boschi e alle montagne anche in virtù dei suoi poteri medicinali.

All’inizio dei XVII° secolo Clarici ne descrive una decina di specie anche se il massiccio ingresso delle Primule nei giardini avviene solo nei primi anni del secolo seguente, grazie soprattutto alle vistose specie asiatiche.
Da allora la loro utilizzazione orticola, non ha mai conosciuto soste, soprattutto ad opera dei vivaisti inglesi, con il tenace lavoro di selezione e di ricerca di nuove specie e razze, favoriti dal clima umido e fresco delle Isole Britanniche, particolarmente adatto alle esigenze vitali di queste piante.

Le Primule hanno anche seguito gli alti e bassi delle mode, come è accaduto alla Primula auricula, oggi raramente coltivata, ma che per tutto l’800 è stato il fiore preferito di intere classi sociali, dai modestissimi minatori, operai e manovali ai grandi ricchi dell'era vittoriana. A margine di questi positivi significati, ed in palese contrasto con essi, in campagna si sosteneva che la presenza di ciuffi di Primule accanto ad un pollaio, impedisse alle galline di produrre regolarmente le uova.

Per contro, altre credenze popolari accordavano loro la benefica potenzialità di allontanare gli spiriti del male, di aiutare a scoprire l'esistenza di tesori sepolti e le indicavano quale fiore prediletto dalle ninfe e dai folletti dei boschi. Come tutti i vegetali annunciatori della nuova stagione e del rinnovarsi della natura la Primula è diventata anche augurio di Buona fortuna. Per questo motivo in molti paesi europei viene offerta quale talismano, come succede con il Mughetto.

Non dobbiamo quindi stupirci se le Primule sono entrate a pieno titolo nella poesia, nella leggenda e soprattutto nel linguaggio dei fiori, dove sono conosciute emblematicamente come simbolo dei primo amore.

Quando il primo ministro Disraeli si recò dalla Regina Vittoria per conferire ufficialmente la Corona delle Indie, ricevette in cambio dalla Sovrana un mazzolino di Primule quale auspicio di buon lavoro. Secondo una leggenda cristiana San Pietro, poiché il Signore aveva voluto un paio nuovo delle famose chiavi del Paradiso, gettò le vecchie sulla terra. Nel luogo della caduta sarebbe spuntata la progenitrice della Primula veris; tant’é vero che nella regione inglese del Somerset è chiamata "Bunch of keys", ossia "Mazzo di chiavi". Ma le proprietà e gli utilizzi pratici che rendono tuttora preziose le Primule per l'economia umana sono ben altri, anche indipendentemente dai consueti requisiti di rustici e vistosi fiori da giardino; aspetti e prerogative che troviamo compiutamente espressi in tutte le tredici magnifiche specie liguri, viventi liberamente nei diversi orizzonti appenninici ed alpini della nostra regione compresa la rarissima e bellissima Primula allionii il cui areale è limitato ad una ristrettissima porzione del ponente.

Detto dei trascorsi medicinali e dell'ingresso delle Primule nel giardinaggio occorre aggiungere che molte specie spontanee vennero utilizzate nell'alimentazione umana con l’accortezza di evitare le specie in grado di provocare reazione allergica, causata dagli oli dei peli; un inconveniente che si ripete con la Primula obconica.

Nelle diverse Primule a fiore giallo, quelle maggiormente utilizzate dalla medicina popolare, sono contenute diverse sostanze preziose quali la primulina, un glucoside saponoide, oltre ad un olio essenziale, acido salicilico ed altri due glucosidi, la primaverina e la primulaverina.

Il rizoma, che emana un profumo simile a quello dell'Anice, viene tuttora impiegato nella cura delle bronchiti leggere, nell'asma bronchiale, nella pertosse, nei reumatismi delle articolazioni, nella gotta e per combattere l'insonnia. Le foglie ed i fiori esercitano una azione più attenuata ed il loro decotto in uso esterno serve per praticare disinfezioni di ferite, rivelandosi efficace anche come emostatico; in uso interno è ritenuto un valido sudorifero, sedativo e antispasmodico.

Il the ottenuto con foglie e fiori disseccati, per la sua azione blandamente calmante, è particolarmente indicato come bevanda serale per i bambini vivaci e nervosi, servendo inoltre come analgesico, in dosi più forti, per coloro che soffrono il mai di testa di origine nervosa.

Le Primula sono piante prevalentemente alpine, a vita perenne o per lo meno monocarpiche, ossia vegetali che dopo aver effettuata la prima fioritura, al primo o negli anni successivi di vita, producono regolarmente semi e quindi muoiono. Sono piante la cui tassonomia ha sempre costituito per i sistematici un difficile problema e l'incertezza che si ripercuote sulla stabilità delle nomenclature, non lascia indenni neppure molte delle nostre specie liguri.

Le Primula sono piante a rizoma carnoso inciso, con fibre ai lati; hanno foglie cespugliose, tutte radicali, semplici, intere, dentate, lobate, ristrette in larghi piccioli. Gli scapi della rosetta radicale, a volte sono uniflori, altre volte ombrellati all'apice.
I fiori sono ermafroditi ed usualmente con stili di diversa lunghezza; i pedicelli fiorali sono privi di bratteole ed il calice, formato da 5 sepali, è più o meno tubolare o campanulato, crestato, persistente ed ha 5 denti. La corolla è imbutiforme, solitamente fuoriesce dal calice, ha lembo piatto o incurvato, regolare, divisa in alto in 5 lobi troncati o intaccati, più larghi in sommità che alla base.

L’unica ex Primula, oggi accreditata al Genere Vitaliana si distingue per avere foglie strettissime ed acute e fiore unico.

Primula allionii Loisel (III- IV. Si tratta di un prezioso endemismo limitato alla sola vallata dei Roja dove nasce nelle rupi umide calcaree dai 500 sino ai 2000m). Ha scapo cortissimo, quasi nullo, alto sino a 3cm. sempre più corto delle foglie che sono più o meno carnose, rotondeggianti, bislunghe con breve picciolo. I fiori, da 1 a 6, sono grandi, al centro della rosetta hanno corti pedicelli, corolla roseo violacea a fauce chiara e lobi smarginati o bifidi. La pianta ha superficie ghiandoloso vischiosa.

Primula auricula L. (IV- VI. Nasce sulle rupi calcaree dai 300 sino ai 2600m). Ha rizoma trasversale con fusticino eretto e nudo alto sino a 25cm. Le foglie sono coriacee e spesse, obovato spatolate, con margine bianco e cartilaginoso dentellato nella parte apicale che è tonda. I fiori, molti in ombrella hanno brattee ovate membranose, sono gialli con la corolla a lobi cordati, e calice campanulato e farinoso.

Primula elatior Hill (III- VI. Nasce nei luoghi selvatici, prati umidi, dai 600 sino ai 2000m). Ha rizoma trasversale con fusticino eretto e nudo alto sino a 30cm. Le foglie pubescenti anche nella pagina superiore, tutte in rosetta basale, hanno picciolo progressivamente espanso a formare una lamina ellittica a punta arrotondata. I fiori in ombrella sono giallo zolfo con la corolla con lembo piano o appena concavo, e calice non rigonfio.

Primula farinosa L. (IV- VII. Nasce vive nei luoghi umidi e torbosi dei prati alpini dai 600 sino ai 2600m). Ha radici fascicolate, sottili e bianche, scapi tondi ed ascellari della rosetta, alti sino a 30 cm. Ha foglie solo basali oblungo obovate, crenate, erose ed ondulate ai margini, con picciolo scanalato; la pagina inferiore delle foglie e talvolta il calice, sono ricoperti da una farinosità biancastra. I fiori, numerosi, sono portati in ombrella, hanno la corolla lillacina a fauce gialla, con il tubo più lungo, talvolta eguale al calice che ha i denti ovati.


Primula hirsuta All. (Sin. Primula viscosa Vill. IV- VII. Nasce nelle pietraie alpine dai 1200 sino ai 2500m). Ha scapo corto raramente plurifloro alto sino a 6cm. Le foglie sono arrotondate, dentate sui lati, più o meno ghiandolose e pubescenti. Il fiore, raramente di più, ha la corolla è roseo porporina con la fauce ed il tubo bianchi a lobi cuoriformi; il calice è campanulato con denti ottusi.

Primula latifolia Lapeyr. (VI- VII. Nasce sulle rupi e nei luoghi sassosi dai 1600 sino ai 2700m). Ha fusticino semplice alto sino a 15cm: Le foglie sono ampie, attenuate alla base, odorose, più o meno pubescenti, grossolanamente dentate L’ombrelletta è composta da 4-25 fiori a corolla violetta, che diviene viola bluastra, e la fauce dei tubo dello stesso colore; il calice è campanulato.

Primula marginata (VI- VII. Nasce sulle rupi e nei luoghi sassosi dai 900 sino ai 2600m). Ha scapi in genere più lunghi delle foglie, alti sino a 15 cm. Le foglie a margine grossolanamente dentato e farinoso hanno forma obovato bislunga. Le ombrelle portano da 2 a 20 fiori con corolla largamente imbutiforme roseo lillacina; il calice è urceolato a denti acuti.

Primula veris L. (Sin. Primula officinalis Nasce nei luoghi erbosi, nei pascoli sino ai 2300m). E’ profumata, ha rizoma trasversale arcuato, , scapo eretto, nudo, alto sino a 25cm. E’ più lungo delle foglie ovate, tutte basali, che sono gradatamente attenuate nel picciolo; verdi al di sopra, pubescenti disotto. L’ombrella porta numerosi fiori giallo dorati a corolla con lembo concavo, sovente macchiata di arancione alla fauce, e calice a denti ovali triangolari, rigonfio ed aperto.

Primula vulgaris Hudson. (Sin. Primula acaulis Hill. II- III. Nasce nei luoghi selvatici, nel sottobosco, sino ai 1200m). Ha rizoma trasversale e corto, fusto pressoché inesistente forma un pulvino alto sino a 15cm. Le foglie tutte alla base sono oblanceolate spatolate a margine irregolare e punta arrotondata. I fiori portati da peduncoli singoli, talvolta lanuginosi hanno la corolla grande, giallo zolfina, a lembo piano, con calice a 5 denti lanceolato lineari, lunghi la metà dei tubo.




Come raccoglierle e coltivarle

Nel giardinaggio tutte le nostre specie continuano ad essere coltivate ed apprezzate ed assieme alle numerosissime Primule provenienti da altri paesi continuano ad essere migliorate e selezionate dagli specialisti. C'è da dire però che all'infuori della Primula obconíca, originaria della Cina, le altre non sono considerate piante facili da coltivare soprattutto se le condizioni del giardino sono quelle di clima secco ed il terreno sia poco umidificato e calcareo. Si devono quindi creare le premesse per preparare un composto neutro, sabbioso e torboso, leggermente acido, bagnare sovente cercando di evitare le zone troppo ventilate preferendo quelle di mezz'ombra.
Le Primule in genere si moltiplicano per divisione da effettuarsi ogni 3-4 anni preferibilmente durante l’estate. Con le semine, nella maggioranza dei casi da aprile a maggio, in terra leggera, torba, sabbia o terra di bosco in parti uguali, si va incontro ad alcune difficoltà nei successivi trapianti periodici prima della messa a dimora per i quali va attentamente valutata la dimensione della pianta e la sua robustezza. Vanno anche attentamente difese dall’assalto degli insetti che ne sono ghiottissimi.
Il prelevamento dei semi dai luoghi di vita spontanea non è difficile perché le Primule possono essere identificate dalle foglie e le piccole capsule sono mature già all’inizio dell’estate. Unica salvaguardia doverosa è quella per la Primula allionii della quale sono note le difficoltà di coltivazione e che tutti dobbiamo proteggere.

mercoledì 3 marzo 2010

La società civile di Isolabona tra il 1700 e il 1800

Che la società civile di Isolabona tra il 1700 e 1800 fosse composta anche da notabili non possiamo negarlo. La pittura muraria conservata presso la chiesa di Nostra Signora delle Grazie ne è la prova più plausibile e visibile a tutti.
In questo affresco infatti, sono raffigurati i notabili del paese che chiedono la protezione di Isolabona alla Madonna.
In questo periodo storico nel nostro comune erano presenti molteplici congregazioni religiose e laiche. Nei manoscritti scritti da Gio Antonio Cane e dal figlio Francesco, possiamo leggere molti riferimenti al loro operato.
La più nota di carattere religioso è la congregazione di Santa Croce, quella che fece costruire l'Oratorio adiacente alla chiesa parrocchiale, una cappella in stile barocco usata ancora oggi per le funzioni religiose. Il compito principale di questa confraternita era quello di accompagnare i defunti.
La confraria di Santo Spirito è forse la più antica, la sua natura era di carattere laico, operava in aiuto dei bisognosi.
Le prime notizie certe risalgono al 1594 e si trovano in un resoconto del vescovo Galbiati durante una sua visita atta a controllarne i registri. Di questa troviamo traccia anche nella toponomastica comunale, infatti a Isolabona esiste via Santo Spirito che conduce all'omonima piazza, dove vi era la sede della confraria.
Ritrovare documenti riconducibili a questa associazione è complicato; ad oggi sono stati rinvenuti – nel non riordinato Archivio storico – unicamente alcuni registri relativi ad acquisti di medicinali e a prestiti concessi a persone in difficoltà che in molti casi non furono restituiti.
Il quadro che si configura è quello di una collettività molto devota e strettamente legata alle cariche ecclesiastiche. Infatti, in questo periodo storico, le confrarie di carattere laico non erano ben viste dalle cariche ecclesiastiche perchè volevano averne il controllo. Dai resoconti vescovili si evince che la confraria di Isolabona, ha sempre accettato il controllo da parte della chiesa, situazione respinta da altre confrarie presenti in altri comuni.

Ho sempre pensato che la storia ci insegni a vivere meglio il nostro presente. Che a Isolabona ci fossero molte associazioni tra il 1700 e il 1800 ci potrebbe insegnare che la vita di una comunità si confronta anche attraverso l'operato di queste. Purtroppo oggi non ci resta altro che la memoria storica delle associazioni, perchè nella realtà odierna non ne esiste nemmeno una.
Si dice che la storia sia una ottima maestra, ma che non abbia allievi!