mercoledì 2 giugno 2010

Apricale e Isolabona, un divorzio storico, 1573

Isolabona e Apricale rimasero uniti amministrativamente per 287 anni. Un divorzio che portò con se strascichi e disaccordi.
Una frase pronunciata dagli apricalesi è ricordata dagli isolesi, scolpita, indelebile, quella pronunciata dopo l'incidente che vide crollare parte della chiesa parrocchiale in fase di ampliamento. Questo fatto è ricordato alla carta 8 del manoscritto di Francesco Cane e riporta la data 1713.

[...] Quando andò a terra la volta della Chiesa gli Apricalesi dicevano nella Chiesa d’IsolaBuona vi nasceranno li roveti.
Il Reverendo Rettore Ignazio Calvini sentendo questo, invitò tutto il Popolo a metter mano all’opera.
Nello spazio di giorni quindici empirono la fornace e le legne necessarie l’hanno prese in Beimeano e in un mese vi diedero il fuoco tutti d’unanime consenso.[...]
Un fatto doloso vide protagonista un apricalese, siamo nel 1858 e la nostra fontana subisce un danno che la muterà per sempre.
Dal mio articolo dedicato alla fontana di Isolabona:


E, il grave danno arrecato alla fontana nel 1858, appare chiaramente legato proprio alla turba provocata dagli animali durante l’abbeveraggio. Si trattò di un fatto ritenuto assai grave sul quale gravò il pesante sospetto del dolo, se l’Amministrazione ritenne di convocare immediatamente un Consiglio straordinario. Dalla relativa delibera datata 10 ottobre si evince che un certo Pisano di Apricale fu accusato di aver volontariamente provocato la rottura della copertura della fontana. A sua difesa il Pisano sostenne che: «la lastra di marmo non era ben ferma e che la bestia fermatasi a bere ed essendo carica di lunghi fasci di canne, ha urtato la pietra malferma facendola cadere».
Il Consiglio non accettò questa tesi difensiva e ribadì che: «la lastra di marmo stava lì da più di 400 anni e non sarebbe caduta se non fortemente spinta, che il Pisano usò negligenza nel non custodire e tenere occhio alla sua asinina traversando questo Comune, dunque egli è responsabile del danno e obbligato a pagare a sue spese il rifacimento del coperchio della fontana».

Il folklore letterario di Isolabona ha trasformato in versi il sentimento di astio tra i due comuni.
Dalla Tesi di Maria Luisa Saettone del 1957:

Vrigarenchi da sigärä Apricalesi della cicala ( loquaci)
tüti i di i munta e i cärä ogni giorno salgono e scendono
i mete i pei en t’a Madona entrano nella chiesa della Madonna
tüta a nöite u trona, u trona. e per tutta la notte tuona e tuona.


Ma cosa successe dal punto di vista storico?
Quali furono gli accordi presi dalle parti?
Eccoli per firma di Marino Cassini che li ha raccolti e trascritti.

Marino Cassini scrive:

Fu durante la reggenza feudale di Stefano Doria che avvenne la scissione dei comuni di Apricale e di Isolabona, rimasti amministrativamente uniti per 287 anni. Il 3 settembre del 1573 il notaio Bartolomeo Giraldi di Genova stese l'atto di divisione nel castello di Dolceacqua. Le trattative erano state precedentemente condotte dal Parlamento di Apricale nelle persone di Ludovico Fiore, Bernardo Martini, G.B. Viale e G.B. Cassini e dal Parlamento di Isolabona nelle persone di Pietro Boero, Battista Cane, Domenico Cane, Francesco Borfiga, Battista Anfosso, Gio Maria Liberale, Giacomo Cane, Bartolomeo Martini.
Al comune di Isolabona competeva pagare a Stefano Doria, dazi, mutui, collette, stipendi e altri oneri pubblici e privati, per un terzo, mentre i rimanenti due terzi spettavano al comune di Apricale. Il territorio sino ad allora in comune veniva attribuito per due terzi ad Apricale e per un terzo a Isolabona. Ogni privato manteneva il possesso della sua proprietà anche se questa veniva a trovarsi nell'altro comune e non era tenuto a pagare a questo alcuna tassa gravante sul terreno. I campari di Apricale e quelli di Isolabona dovevano sorvegliare le terre appartenenti al loro comuni, anche se queste appartenevano a residenti nell'altro comune. Ognuno poteva portare armenti e attrezzi nelle proprie terre. Eventuali danni dovevano essere valutati dai campari o da periti secondo gli Statuti del luogo su cui il danno era avvenuto.
Come già era accaduto all'atto dell'unione dei due comuni, la divisione non portò certo la pace perchè sorsero subito questioni e controversie sulle quali l'accordo precedente non era stato chiaro. Ancora quattro anni dopo la divisione, Stefano Doria doveva intervenire per dirimere reciproche accuse.
Alla fine del secolo, secondo quanto si legge in atti dell’Archivio di Apricale, sorse ad esempio la questione sollevata dagli abitanti di Apricale i quali accusavano quelli di Isolabona di tenere chiuse le porte di accesso al paese, impedendo agli apricalesi di accedere ai loro mulini, alle loro case e nuocendo al loro commercio. Il giurista Bertinio Gugliotti, rifacendosi ad un periodo antecedente in cui le porte rimanevano sempre aperte, diede ragione agli abitanti di Apricale. “A questo consulto - scrive N.Calvini - è da collegare la sentenza emessa il 27 agosto 1663 dal Governatore di Nizza che condannava gli Isolesi ordinando loro di tener aperte le porte del paese anche di notte.”
A questa lamentela si aggiunsero pure quelle relative a diritti di pascolo, alla raccolta delle castagne e delle nocciole, nonché alla divisione del greto del torrente Nervia in merito al prelevamento di pietre che gli abitanti di Isola impedivano a quelli di Apricale. Fu pure questione di contesa il passaggio delle mandrie di Apricale attraverso la piazza della chiesa di Isolabona.

Che caretterini!!! Ma anche questo ha un perchè e ce lo spiega Girolamo Rossi nel suo libro
Storia del marchesato di Dolceacqua e dei comuni di Pigna e Castelfranco nella prefazione:


Non sarà male il premettere, come la valle della Nervia la quale pareva destinata dalla natura a formare una sola famiglia avesse nel medio evo tre signori. Dolceacqua, Apricale, Isola Buona e Perinaldo appartenevano ai Doria, sulle porte di Pigna e di Rocchetta si ergeva lo stemma prima dei Reali di Napoli quindi dei Conti di Savoja, Castelfranco poi e Camporosso primo ed ultimo paesi della valle riposavano all'ombra del vessillo genovese. Or mi si dica come si potesse ripromettere vita tranquilla, dedicata almeno alle cure dei campi in cosiffatta contrada, dove a ogni passo si incontrava un confine; a ogni confine una contestazione; in due uomini due avversari e ben spesso due nemici !

2 commenti:

  1. Il tuo blog sta diventando un vero e proprio archivio storico, e brava Rob!
    ciao, lucia

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  2. Ci furono anche miei antenati che firmarono la separazione. Quella notte gli Apricalesi li fregarono con vino e donne di allegri costumi. Sarebbe ora di ridiscutere i confini.

    RispondiElimina

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