mercoledì 10 dicembre 2008

La nostra cascata

Questa notte, come da previsioni, è arrivata la pioggia.....anche in abbondanza.
La fotografia che ho fatto questo pomeriggio rientrando da Sanremo riprende la nostra cascata, e come si può vedere è abbastanza rigogliosa.

Questa cascata è artificiale e fu costruita per dare forza motrice alla cartiera che sorgeva a Isolabona in località Papeira.

Isolabona è un "serbatoio" di storia, ritengo sia un peccato che vada persa!!!
Questa come tante altre storie, potrebbero essere raccontate in una biblioteca o in un museo, ma entrambi ad Isolabona non ci sono.....peccato!!!
La penso in modo sbagliato?

Di seguito riporto uno studio storico eseguito dal nostro Alberto Cane e pubblicato su terraligure.



LA CARTIERA DI ISOLABONA
di Aberto Cane

Nel secolo XV a poca distanza dal paese, verso Sud, venne costruita una cartiera di proprietà dei Doria. Ricorda Charles Moïse Briquet nel "Dictionnaire des filigranes" che tale carta usava la stessa filigrana della carta prodotta a Genova: un guanto sormontato da una stella.
Oggi della fabbrica rimangono ruderi ricoperti d'edera. Un’ala invece è diventata un deposito di acque gasate. Dell'antico splendore è rimasto solo l’eco nel toponimo della zona: “Papeira”, dal francese "papier", carta. Nell’Ottocento, malgrado esistessero nell’Imperiese le condizioni ottimali per l’insediamento dell’industria cartaria e cioè la presenza di numerosi corsi d’acqua e notevoli quantità di legname fornito dai vasti boschi di conifere dell'entroterra, in questo settore non si ebbero che sporadiche attività contrariamente invece a quanto avvenne nel Savonese e soprattutto nel Genovese. Proprio verso la fine dell’Ottocento, mentre le industrie del Savonese (ve ne erano 32 all’inizio del diciannovesimo secolo) erano in decadenza a causa della concorrenza straniera, la cartiera di Isolabona era l’unica attiva e fiorente. La “S. Coma & C.”, ubicata a sud del paese lungo la riva destra del torrente Nervia, aveva anche una succursale a Ventimiglia. Nel 1888 l'energia che serviva all'intera struttura veniva fornita da due caldaie a vapore (100 cavalli) e da una turbina (80 cavalli) alimentata dall'acqua proveniente dallo sbarramneto artificiale sul Nervia. La materia prima era fornita sia dalla fabbrica di Ventimiglia (pasta di steli di canapa, pianta che veniva coltivata in grande quantità in tutta la zona), sia dai boschi dell’entroterra e dall’estero (cellulosa e pasta di legno). L’occupazione era di circa 95 operai nel 1890. L’importanza che questa fabbrica aveva per il paese di Isolabona doveva essere notevole: infatti nello stesso anno la popolazione era di circa 1100 persone, considerato che gli occupati erano quasi tutte persone del luogo e che la popolazione attiva era di circa 800 unità, l’occupazione della cartiera rappresentava l’11,5% dell’occupazione totale. La produzione della “S. Coma & C.” era principalmente di carta da stampa, ma anche carta da lettere e carta colorata. Nella succursale di Ventimiglia erano occupate 10 persone; la potenza installata era di 70 cavalli, generati da una turbina che azionava 5 mole di granito in grado di ridurre in pasta gli steli di canapa sottoposti precedentemente a bagno chimico. Non sono chiari i motivi che portarono alla chiusura della cartiera che garantiva la fornitura a tutte le tipografie locali e quindi non avrebbe dovuto avere seri concorrenti. È lecito supporre che la concorrenza delle cartiere estere fece presa anche sui tipografi locali dal momento che all’estero era già stata attuata la meccanizzazione degli impianti che aveva consentito notevoli riduzioni sul prezzo della carta.

12 commenti:

  1. Bravi gturs e Alberto.
    Quando passate dalla Papeia fotografate anche i cormorani.
    Perche si sono instalati in quella zona?

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  2. L'arte della carta a Isolabona dovrebbe essere arrivata da Voltri (Genova) passando per Pigna.
    Negli anni a cavallo tra '400 e '500 infatti i maggiori produttori di carta della zona erano Battaglino Orengo di Pigna e suo figlio Ottobono (entrambi residenti a Ventimiglia).
    Nel 1499 Ludovico Testino di Voltri abitava nella cartiera degli Orengo e sempre nello stesso anno Stefano Fiore di Isolabona mandava il figlio Raffaele presso Battaglino Orengo affinché imparasse l'arte di fabbricare la carta. L'apprendistato di Raffaele doveva durare 6 anni durante i quali Battaglino si impegnava a dargli vitto e alloggio.

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  3. Grazie Fausto della tua preziosa testimonianza!

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  4. E' un'ottima idea quella di un museo a Isolabona sul genere di quello di Pigna per raccogliere reperti e testimonianze della civiltà contadina.

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  5. Dimenticavo: bellisima la foto del paese sotto la neve!

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  6. ciao gturs,
    sempre ammirevole l'amore per la tua terra e ciò che scrivi... interessante lo Studio di Alberto.
    un caro saluto,
    g

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  7. Ciao a tutti, l'idea del museo mi sembra strepitosa.
    Ma a Isola è nevicato ??
    Vedo la foto, è di ieri oppure fa parte dell'archivio ??

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  8. complimenti per il blog
    vorresti scambiare il link?
    il mio blog è http://universoon-line.blogspot.com/

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  9. @gturs

    Tanto per darti un'idea di come sia un atto notarile di fine '400 ti ho messo qui il documento dell'apprendista cartaio di Isolabona.

    Per tutto quello che riguarda carta e cartiere ti consiglio di vederti il libro di Paolo Cevini, Edifici da carta genovesi (secoli XVI-XIX), Genova 1995, dove sono citati anche questo e altri documenti che a suo tempo avevo "passato" a Cevini.

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  10. @fabrizio, no a Isolabona non ha nevicato, per fortuna!
    La fotografia me l'ha mandata Andre e risale a qualche anno fa.
    Ciao.

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  11. Lo so che a inserire un commento a un post di più di due anni fa (che mi ero perso) si corre il rischio di non essere presi in considerazione, però ci provo.
    Poichè so che sei appassionata di storia locale, forse ne sai più di me su un episodio che forse può aver a che fare con la crisi della cartiera.
    Nico Orengo, in Islabonita, racconta la storia di Mariolino, un bambino morto accidentalmente nella vasca di macerazione della cartiera di Isolabona.
    Riporto, anche se non ce ne sarebbe bisogno, le sue parole:

    "Era stato durante quel freddo che era scomparso Mariolino. Aveva genitori anziani e sette fratelli. Erano andati a cercarlo per le rive del Merdanzo e del Nervia, fino alle acque solforose di Pigna, nei boschi sopra Ansa e sotto il Canno, nei pozzi e nelle cisterne delle fasce. Erano arrivate le guardie regie ma anche loro non ne avevano trovato traccia. – Avrà avuto troppo freddo e sarà andato a cercarsi il caldo, - aveva detto il padre di Mariolino, Alfredo di Giacò, guardando la moglie e gli altri sette figli, a tavola intorno a una fondina di minestra di castagne […]

    Mariolino se ne andava verso la cartiera del paese a cercare discrezione e calore nella grande vasca dove si lavorava la canapa per farne pasta di cellulosa. Quando gli impianti erano fermi quella vasca rimaneva un nido caldo e solitario. […]

    Poi, improvvisamente, [...] la vasca si inondò di vapori e fumi cominciando a girare come una giostra mentre Mariolino scompariva alla sua vista e una schiuma bianca andava a rapprendersi come zucchero filato, una poltiglia di latte cagliato. Fatima voleva gridare, aprire la finestra, far capire che bisognava fermare i meccanismi, che Mariolino stava sparendo nell'impasto della cellulosa. Ma dalla sua bocca non doveva uscire suono e la strada, ormai ghiacciata, era deserta. La scomparsa di Mariolino rimase un mistero per tutti, o quasi, e sbiadí nelle stagioni. A Fatima rimase invece, ogni volta che le accadeva di toccare un pezzo di carta, la sensazione di violare un'intimità che non le apparteneva, e un senso di pietà e protezione la spingeva ad accarezzare la pagina con la delicatezza di una mano materna."

    Sappiamo che Orengo non ha inventato questa storia, semplicemente ha compiuto un salto temporale, ambientando durante la II guerra mondiale una storia avvenuta in realtà sessant'anni prima, nel 1883.
    Nel luglio di quell'anno, infatti, un ragazzino lisurenco di 14 anni si calò per gioco nella scardassa della cartiera.
    Poichè il caldaista non si era accorto di questa intrusione, procedette all'avvio dei macchinari, che fecero il loro lavoro di scardatura, macinando gli stracci (all'epoca non si usava più la canapa) e con essi il povero ragazzino, i cui resti frantumati furono ritrovati solo allo spegnimento del macchinario.
    Come forse saprai, si dipose allora di seppellire nel cimitero del paese tutto il contenuto della caldaia, proprio per l'impossibilità di discernere i resti del ragazzino dai residui della produzione.
    Il fatto che la storia sia stata ripresa da Nico Orengo mi ha suggerito a sapere di più di questa storia, che secondo me (se non altro per una curiosa coincidenza temporale) ha probabilmente contribuito, per la eco che ebbe a livello locale e non solo, ad accelerare la crisi della cartiera, che difatti di lì a poco entrò in una recessione irreversibile.
    Esiste ancora memoria a Isolabona di ciò e sei a conoscenza di tracce di questo triste episodio?

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