giovedì 22 ottobre 2009

Catarinin a Burdigota, una venditrice di pesce del primo novecento

Questa sera vorrei proporvi un altro brano tratto da Au fil de la Nervià di Andrè Cane, il nostro compaesano che con tanta bravura ci ha lasciato in eredità con il suo libro, tradizioni e personaggi del primo novecento che popolavano o frequentavano Isolabona.
Il brano ci racconta cosa si pescava e come veniva effettuata nel nostro corso d'acqua, il Nervia.
Il racconto oltre a descrivere la pesca nel torrente, ci parla di un personaggio, Catarinin a Burdigota, che e ra una venditrice ambulante di pesce.
Il pesce, si sa, è un prodotto molto difficile da trattare, va consumato fresco.....sappiamo che dal punto di vista storico non fu un alimento che riscosse molto furore soprattutto per il fatto che quando arrivava sulle tavole di chi abitava lontano dai porti, aveva perso il suo naturale profumo e le sue carni erano poco appetibili...Fu solo in seguito cioè quando i metodi di conservazione e i mezzi di trasporto divennero migliori che anche il pesce trovò la sua gloria.
Solo a titolo informativo, l'anguilla fu uno dei pochi pesci che veniva commercializzato e consumato su molte tavole perchè poteva vivere fuori dall'acqua per moti giorni e lo stocafisso perchè essiccato.....
 


Da

Au fil de la Nervia di Andrè Cane
Traduzione di Nadia Veziano.
 [...]
La pesca

Si limitava al vairone e all’anguilla.
Mio zio, pescatore appassionato e abile di questo piccolo pesce argentato, non ritornava mai senza averne riempito un sacchetto di tela bianca, del quale avevo la responsabilità e che portavo con ostentazione e fierezza passando sul ponte.
Partivamo la domenica, sotto le stelle e risalivamo sempre il Nervia a metà strada, tra Isola e Pigna.
Ci attardavamo soprattutto, ai bordi di una serie di piccole gole profonde scavate nella roccia scistosa. Lì prendevamo dei bei esemplari, che vedevo agitarsi attorno ad un amo sottile, perfidamente avvolto in una minuscola e bianca pallina di mollica di pane.
Della nostra pesca, facevamo sempre delle saporite fritture e questo ci evitava l’acquisto, proibitivo per noi, del pesce di mare, che faceva la sua apparizione il venerdì, quando il tempo e le circostanze lo permettevano.
Quel giorno vedevo arrivare, verso le dieci/undici una vecchia conoscenza degli abitanti:
“Catarinin a Burdigota”, originaria come lo suggerisce il soprannome di Bordighera.
Una maestra pescivendola quella!
Era robusta, coi capelli sale e pepe che da molto tempo avevano rinunciato al pettine e al sapone.
Aveva occhi chiari su un viso rossastro, brufoloso, devastato.
Un corsetto e un grembiule neri puzzolenti di sporcizia e popolati di mosche.
Dalla sua bocca, dalle labbra spesse, uscivano parole, forti nel tono, e grossolane nella forma.
Dalla fontana fermava il suo carretto tirato da un pimpante cavallino grigio a macchie nere, provvisto di una corda ornata da cento sonagli che la segnalavano da lontano.
Dietro al sedile, erano disposte due ceste di pesce ricoperte da un sacco.
Portava alla nostra gente, che considerava un po’ come clienti di serie B, la merce che non aveva “fatto fuori” sulla costa.
Difendeva la sua mercanzia e a quelli che osavano contrariarla, erano pochi, rispondeva con ingiurie. Questo non la turbava per niente mentre annunciava con il suo vocione :
“ U belu pesciu frescu “ all’entrata dei carrugi principali.
Le capitava però, molto più spesso di quanto credesse, di ritornare a casa con le ceste ancora piene.

Più interessante era la pesca all’anguilla, in acque chiare e principalmente d’estate.
Aveva l’aspetto del bracconaggio ed esigeva l’utilizzo di tre uomini.
Uno, munito di una pesante mazza, l’altro di una grossa pinza che si faceva prestare da “ Batti u Ferrà” ( il maniscalco), il terzo, aveva il compito di sollevare i massi che emergevano e sotto i quali si nascondevano le anguille. L’uomo con la mazza dava grossi colpi sulla pietra che avevano come scopo di stordire il pesce, ovviamente quando c’era.
Quello che aveva le mani libere, sollevava lentamente il masso, il terzo, in agguato, pinze spalancate, si impossessava velocemente della preda.
Ma il procedimento più comune, il più coinvolgente, era una canna un po’ speciale, tuffata nelle acque torbide del torrente in piena.
All’estremità di una canna non flessibile, era fissato un pezzo di filo di lunghezza adeguata, munito a venti centimetri dalla parte terminale, di un piombo.
Questa breve distanza, serviva a fissare saldamente una matassa di vermi infilati con un’ago.
Era la “pesca au massame”.
Appena i primi temporali scoppiavano sul Toraggio, vedevo due uomini, sempre gli stessi, precipitarsi su un piccolo cumulo annaffiato tutto l’anno dall’acqua dei piatti della trattoria che si trovava sulla sinistra del ponte.
Muniti ognuno di un magaglio, sollevavano rapidamente alcune zolle di fango grasso, che pullulavano di lombrichi che raccoglievano in breve tempo in quantità sufficiente.
Preparata la canna, si munivano di grandi ombrelli.
Sceglievano un posto al riparo dalla corrente e aprivano l’ombrello alla loro sinistra, col manico all’insù. Appena l’anguilla abboccava alla grossa esca, senza amo faccio notare, sollevavano rapidamente la canna e lasciavano cadere la preda nell’ombrello.
Era una pesca che esigeva una grande abilità, perché la sua efficacia, si giocava sui pochi secondi che passavano tra l’uscita dall’acqua e la caduta nella grande trappola di stoffa.
Succedeva spesso che l’anguilla si staccasse appena si sentiva fuori dall’acqua.
Due o tre volte nel corso dell’estate si praticava, con un permesso, la pesca con la rete nel “lagu du fundu”, distante solo qualche decina di metri dall’arcata del ponte.
Questo piccolo attrezzo di forma conica, veniva disteso e spinto da quattro uomini.
Altri uomini disposti intorno al lago si avvicinavano alla rete spingendovi a colpi di bastone i pesci  che sollevavano una grande massa d’acqua.
Questo spettacolo attirava numerosi curiosi.[...]

13 commenti:

  1. Mi ha proprio affascinato questo brano relativo alla pesca...
    Due metodi alquanto primordiali... ma efficaci...
    Mi sarebbe piaciuto vedere la maestra pescivendola con il vocione e abiti puzzolenti...
    hehehehe
    Ciao Roberta è bellissimo leggere questi brani di Cane... grazie per postarli... dolce serata... un abbraccio e bacione

    RispondiElimina
  2. Questo libro, di cui ogni tanto pubblichi qualche brano, è molto interessante. Ho provato a cercarlo in internet ma non riesco a trovarlo, sai mica dirmi se è ancora in commercio e in tal caso dove acquistarne una copia?

    RispondiElimina
  3. L'anguilla, per la verità non mi è mai piaciuta, anche se ricordo che anche dalla mie parti, in lucchesia, quando ero ragazzo, alcuni praticavano la pesca delle anguille nelle acque torbite delle piene del fiume Serchio utilizzando proprio la tecnica che descrivi tu. Ad Isolabona si chiamava “pesca au massame" mentre dalle mia parti si chiamava con un nome che gli assomiglia un po'"mazzacchera", ma credo che adesso non la pratichi più nessuno.

    RispondiElimina
  4. "l'anguilla fu uno dei pochi pesci che veniva commercializzato e consumato su molte tavole perché poteva vivere fuori dall'acqua per molti giorni"
    Sicura?

    RispondiElimina
  5. @Fausto
    No, il libro è introvabile.

    RispondiElimina
  6. @alberto, l'anguilla può vivere anche due giorni fuori dall'acqua.
    forse mi è scappato un " molti"...ma il mio post non vuole essere un post di carattere scientifico ma vuole essere solo un documento di memoria storica!

    @fausto, il libro è stato stampato solo in 250 copie nel 1973 e in francese, per il momento non è disponibile ma non è detto che presto ci possa essere una una ristampa e in italiano.Ciao.

    RispondiElimina
  7. Ho visto praticare la pesca con una pietra,sbattuta violentemente su un'altra per stordire il pesce, in effetti è un metodo un pò primordiale che nono è possibile effettuare in tutti i corsi d'acqua.
    Personalmente preferivo la pesca sportiva...
    Buona serata, cara Roberta!

    P.S. L'anguilla non mi piace...

    RispondiElimina
  8. Rob, non mi piace l'anguilla. Preferisco un gustoso sarago arrosto!;)

    Ma questo non c'entra con il brano tratto dal libro di André Cane, molto affascinate in verità. Mi è sembrato di "vedere" la "Burdigota" in carne ed ossa tanto la sua descrizione risulta realistica e suggestiva.

    Buon week end, Rob!

    RispondiElimina
  9. A me piacciono sia l'anguilla, sia il capitone...

    Altri tempi!

    RispondiElimina
  10. E' un brano molto bello benchè (in un certo senso) anche piuttosto duro.
    La lotta per procacciarsi il cibo è sempre stata, per il popolo, qualcosa che di solito ha dovuto lasciare da parte la poesia.
    Eppure, se ci pensiamo bene... in questo vi era anche dell'ingegno, della fantasia ed una forte volontà di superare le ristrettezze e le limitazioni.
    Buon inizio settimana, Roberta.

    RispondiElimina
  11. felice settimana con un grande abbraccio

    RispondiElimina
  12. rava Roberta che ci fai sempre scoprire cose interessanti

    A me non piace l'anquilla,
    Il baccalà fritto si.

    Buona settimana.

    RispondiElimina

E' possibile commentare nelle seguenti modalità:
1) Google/Blogger: occorre registrarsi gratuitamente a Google/Blogger.
2) OpenID: ancora in fase beta, consente di commentare utilizzando un account comune ad alcune piattaforme.
3) Nome/URL: basta immettere un nome (nick) ed il proprio indirizzo (se si possiede un sito/blog).
Ho dovuto eliminare la possibilità di commento anonimo per troppi commenti spam.