giovedì 26 novembre 2009

Castelvittorio un tempo si chiamava Castelfranco

Fotografia tratta da Castelvittorio.net

Castelvittorio mi ha sempre dato l'impressione di essere un luogo a se.
Sarà che la sua posizione geografica lo rende quasi separato dal resto della valle, sembra quasi che da ogni casa si possa controllare chi si stia avvicinando.
Facendo ricerche su questo luogo ho scoperto che il suo nome è recente, solo dopo l'unità d'Italia è stato trasformato da Castelfranco a Castelvittorio, proprio in onore del Re Vittorio EmanueleII di Savoia.
Castelfranco era una specie di zona franca, un luogo di confine tra lo stato di Genova a cui apparteneva e lo stato dei Savoia.
Ho parecchi amici che vi abitano, e la mia cara Raggio è originaria di questo luogo.
Si dice che il loro carattere sia forte, e leggendo la storia di questo borgo ho scoperto che erano fortissimi combattenti, dei soldati valorosissimi, ecco perchè mi sembra di vedere in loro un qualcosa di speciale, una caparbietà unica.
Tra Castelvittorio e Pigna, il comune sottostante vi è stata sempre una forte rivalità, è da ricordare che i pignaschi trafugarono la campana di Castelvittorio che a loro volta rubarono le pietre che rivestivano la piazza di Pigna, questo fatto si divide tra leggenda e realtà......
Anche il loro dialetto è unico, a differenza di quello degli altri paesi della valle è ricco di "Z", guarda qui
Conoscere la storia dei nostri vicini è importante, grazie al sito di Cultura Barocca e soprattutto nella figura del Prof, Bartolomeo Durante abbiamo la possibilità di accedere a tante informazioni sulla nostra storia.

Dedico questo post a tutti gli amici di Castelvittorio.

Da Cultura Barocca

[...]

CASTELVITTORIO

Ultimo nome (del 1862 in onore di Vittorio Emanuele II di Savoia) del borgo murato di "Castel Dho" o "Doy" detto nel XIII sec. Castrum Dodi dal personale Dodo, di origine germanica, riferito al fondatore od al capo dell'originario presidio militare.

Già castello dei conti intemeli nel 1261 passò sotto Genova e quindi sotto la Podesteria di Triora: la popolazione, fida a Genova, fu esentata da alcuni obblighi fiscali ed il paese prese nome di "Castelfranco" da "franco" cioè "libero" da doveri fiscali. Era difeso da un castello centrale e da mura con 4 torri: fu Sentinella di Genova contro Pigna dopo che questa passò sotto gli Angioini e quindi i Savoia (XIV sec.).

Al pari di Triora il borgo dava degli ottimi combattenti, irregimentati nella condizione di militi villani, saldi combattenti sui cui a lungo la Repubblica fece conto per salvaguardare i suoi confini, come si ricava da relazioni periodiche di magistrati delegati ad ispezionare questo (ed altri) quartieri di disciplinate milizie popolari.
Osservato dalla "Colla" di Pigna ha aspetto di borgo imprendibile sito su uno sperone di calcare marnoso a 420 m. di altezza. Visto da Sud il paese denota la sua conformazione a cuneo, completata da un'asse che risale il colle sino alla diruta chiesetta di S.Lucia. Nel borgo si riconoscono tracce d'architettura difensivo-militare medievale (specie in via Roma, vicolo che collega la zona alta dell'insediamento con piazza XXSettembre (l'antica "piazza pubblica fuori mura") dove si scoprono diversi portali d'ardesia. Qui in antico esisteva una via ad anello su cui si son poi edificate le costruzioni della parte più recente dell'abitato: le case che son state erette in questa area sorgono sui resti di una seconda cinta di mura poi abbattuta per l'ingrandimento della località.

Per individuare il nucleo del borgo originario, di case di pietra senza intonaco e fra loro addossate, è necessario risalire ad un piccolo centro murato poi fasciato da mura seicentesche: è il paraixu, detto in luogo l'astregu derivato forse dal latino astricum, che comprende la piazzetta ai cui margini stavano la casa comunale, la chiesa e le residenze più antiche che son collegate con la piazza tramite vicoli spesso coperti ad arco, in pendenza o fatti di scalinate (nel XVII sec. si entrava nel paese da 4 porte tuttora esistenti nella cinta muraria: bella è quella sita presso la chiesa di S.Caterina che guarda verso Pigna).

Alludendo alla lunga e complessa vicenda delle PARROCCHIALI DI CASTELVITTORIO scrive N.Allaria Olivieri (Castel Vittorio, notizie storiche-religiose-politiche dal 991 al 750, Chieri [s.d.], p.9) "La vecchia chiesa di N. S. DEL NOGARETO MARIA ASSUNTA che dal 955 era stata la PARROCCHIALE di CASTEL DI DHO, non era in posizione logistica di ottimalità; abbandonata e diruta per azioni vandaliche, aveva cessato di funzionare; ritirati nella cerchia di mura fortificate il nucleo castellese allora potè usufruire della piccola chiesetta costruita nel 1330 alla sommità dell'agglomerato sull'area del giardinetto di casa Rebaudi. La chiesa sorse sulle rovine di un oratorio gentilizio della stessa famiglia e venne dedicata a S. STEFANO PROTOMARTIRE.
Nel 1650 si rovinò e sulle sue fondamenta nel 1749 fu costruita la NUOVA CHIESA per opera di Don Giuseppe Rebaudi"

Alle pp.8-18 del citato suo lavoro N. Allaria Olivieri riporta dati e documenti essenziali per intendere i rapporti della popolazione sia con lo Stato genovese che con la Chiesa ligure, stretta collaboratrice dello Stato; lo zelo e la precisione dell'autore fanno pensare che possa esser cosa giusta, onde rendergli merito, piuttosto che far uno scialbo riassunto delle sue ricerche, registrare compiutamente (anche con rispetto delle scelte grafiche) quanto da lui scritto:

" [dall'inoltrato XIV sec.] Le decime e gli emolumenti, una volta dovuti ai capitani e a chi faceva giustizia, restano nella comunità; vengono versati per determinati servigi; una parte di essi vanno al rettore spirituale, il quale vive già in mezzo alla comunità di CastelFranco.
Sono gli stessi consoli a redigerne il minuzioso elenco e, in nome dell'autorità che viene loro dalla "munifica [ma forse è da intendere secondo l'uso "magnifica"] comunità" , a tutelarne l'osservanza scrupolosa.
La considerazione dei "focolari" [nuclei di famiglia], in quel primo tempo, non era certo numerosa; si pensi che quattrocento anni più tardi, per l'esattezza il 30 aprile 1631, Gian Vincenzo Imperiale, commissario delle Armi di Genova, in visita all'avamposto genovese aveva a scrivere: "mi fermai in Castel Franco opposto a Pigna, a frontiera al nostro stato, loco da 200 uomini da combattere... ed io stimo il mantenerlo in questa forma presidiato, custodito da guardie di paesani giacché in questo modo essi conservano la disciplina".
Sebbene ristretti nelle cerchia delle vecchie mura, il tenore dei decreti accennati lasciano credere, che già allora, una parte della comunità, comprendeva uomini sparsi nelle campagne circostanti, rese libere dall'ingerenza di Triora. A questo popolo di contadini e di militari era imposto più che dall'autorità religiosa, dall'autorità della Repubblica un rettore, sacerdote o frate. Da qui l'imposizione da parte dei consoli di una parte delle decime dovute e dei censi.
Le notizie riportate e la costruzione della nuova chiesa per la comunità di CastelFranco chiudono un periodo di circa trecento anni. Non è affatto errato pensare che in detto lasso di tempo in CastelFranco, di volta in volta, si siano avvicendati sacerdoti o frati alla direzione spirituale del popolo.
Erano i tempi di rigurgito religioso; ordini religiosi di stretta osservanza, frati o laici passavano di contrada in contrada e non pochi uomini del luogo preferivano il sacerdozio alle armi...
Lo storiografo di Triora, P. Francesco Ferraironi a suo dire, riconosce come obbligo di detta comunità l'inviare in CastelFranco uno dei qualsiasi frati dai locali conventi. E' dunque certo che dal 1280 in poi vi fu una certa continuità di assistenza religiosa e per conseguenza mai furono tolte le decime a cui la comunità di CastelFranco si era sottoposta.

Allora le decime prendevano svariati nomi: la prediale o del grano, dei capretti, del companatico, di Langano, ecc...
Dal documento:
" Cominciamo l'emolumenti dovuti al rettore protempore dal popolo di CastelFranco abimemoraibile consuetudine e si pratica continuamente come si descrive appresso.

Decima Prediale

Chi semina o fa seminare con bovi sui o partecipi di essi, tanto quelli del luogo di CastelFranco, come forestieri nel territorio di detto luogo tanto in terre proprie, quanto in terre comuni sian tenuti, obbligati, costretti pagare il giorno di San Rocco ogni anno al rettore pro tempore moturali tre di fromento alla misura del moturale che tiene il rettore appresso di sé sigillato col sigillo comune.
Ma quelli che seminano o fanno seminare senza bovi siano tenuti a pagare in detto giorno un moturale e mezzo fromento ad esclusione però della canepa et hortaglie; e chi niente semina, niente paga: chi semina e fa seminare fascicoli è tenuto a pagare la decima di fromento; così è stabilito ogni capo di casa.

Decima dei Capretti

Li signori sindaci pro tempore della presente comunità di CastelFranco sono tenuti ogni anno al tempo di detta decima a consegnare al rettore la 4.a parte delli capretti e agnelli che vi esigono da quelli che sogliono pascere bestiame minuto e da norigo sopra il territorio di CastellFranco; è questo sempre praticato senza contradizione alcuna.

Decima del Companatico

Sono tenuti li signori sindaci pro tempore consegnare al rettore etian pro tempore libre due companatico fresco in tutti li giorni festivi, che saranno nel mese di maggio, senza contradizione alcuna.

Decima di Langano

Ogni anno il giorno di S. Gio Batta a di 24 giugno li signori sindaci della comunità di CastelFranco vendano in pupplica collega la decima di Langano, dove seminano o fanno seminare homini di Triora, con obbligazione che il collettore di detta decima sia tenuto consegnare al rettore la quarta parte di quelle vettovaglie che sogliono esigersi dai debitori di detta decima".

Chi ben osserva, si accorgerà come fossero quantomai onerose dette decime per il popolo non sempre proprietario di terreni e costretto a vivere col solo provento delle terre. Ben presto sorsero contrasti; gli stessi sindaci rifiutarono i loro servizi e la consegna delle decime.
Sorge una vertenza: da un lato il rettore e per lui il senato di Triora, dall'altro i sindaci della comunità a nome del popolo.
Ne è animatore Don Giustino de Beghini, preposito protempore; è un uomo di elevatura intellettuale.
Con lunghissima petizione rivolta ai consoli della comunità in data 1720, a di 30 marzo, il De Beghini rivendica i diritti, immemorabili, del rettore; traccia la storia e ne richiama la ragione.
I consoli a di 30 del mese di aprile, alla ora del mezzogiorno, dalla sede di riunione, rispondono riconoscendo leggi e diritti del Rettore.
Sarà per breve. Lo stesso petizionario dovrà spuntare altre armi in avvenire.
Trent'anni dopo, un certo prete, Nicolò Luppi, annotterà in calce alla risposta dei consoli: "Siamo giunti a tempi, nei quali non solo negano di pagare la decima i contenuti nella controscritta supplica, ma saltano anche la medesima decima la maggior parte, che realmente partecipano ne boi, con dire, in tempo delle raccolte, che non partecipano, conforme è seguito a me in un anno e pochi mesi che mi sono qui trattenuto per non essere a cognizione delle casate del Paese, che però procurino i parroci di star occulti, perchè siamo in tempi di Caino, e sua discendenza".[...]
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8 commenti:

  1. che piacevole sorpresa! la storia del mio paese è complicata, esso è sempre stato in balia dei più potenti, tra rivalità e guerre... interessante è stato leggere come si effettuava il pagamento delle tasse. ora non si chiamano più decime...ma sono sempre salate... in questo, la storia non è cambiata... ciao e grazie di avermi pensato!

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  2. ciao cara passo di qui per augurarti buonanotte ;)

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  3. Come ami la tua isola e la stai facendo amare anche a noi
    Un bacio

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  4. Ciao Roberta.
    Leggendo questo tuo post interessante e istruttivo mi è saltata fuori una curiosità: come avranno fatto i due popoli di Castelvittorio e di Pigna a trafugarsi vicendevolmente chi la campana e chi le pietre?
    Sarà stata robetta un po' pesantina, no?

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  5. Ciao Roberta,
    ti lascio solo un caro saluto e spero di incontrarti domenica a Vallecrosia.

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  6. Chissà che fresco lassù d'estate!

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  7. Castelussi.
    Derocaveschevi o amassapravi ?

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