mercoledì 19 novembre 2008

Un po' di storia sulla coltivazione degli olivi



In questo periodo, chi ne ha, abbacchia le olive, da qui ho tratto un po' di storia su questa pianta e sulle pratiche di coltivazione delle nostre terre in Val Nervia.
Un po' di storia non guasta mai.

L'olio che si produce nella nostra valle è buonissimo e se capitate da queste parti non esitate a comprarlo ma, occhio alle fregature, quelle ci sono da tutte le parti!!!



I
MONACI BENEDETTINI, dal IX al X secolo, diedero impulso all'olivicoltura ligure; furono probabilmente loro che importarono da Cassino nell'area tabiense, dove esercitavano l'opera apostolica, una pianta di buona qualità, poi detta TAGGIASCA (cfr. FORNARA, I Benedettini e la Madonna di Canneto a Taggia, Chieri, 1928, pp. 49 e 97).

Gli STATUTI
del borgo di Apricale in Val Nervia e vari rogiti del notaio di Amandolesio dimostrano che la coltivazione degli olivi era abbastanza diffusa nella Liguria ponentina del XIII sec. anche se molti elementi inducono a far credere che la diffusione dell'olivicoltura nel Ponente ligure (nella romanità verisimilmente si produceva solo un OLIO DA COMBUSTIONE (usato in particolare per lucerne e lampade) e si importava dalla Spagna, soprattutto, quello alimentare almeno fin a metà III sec. per poi previlegiare il prodotto africano: così almeno secondo l'interpretazione della Pallarés) sia in gran parte da ascrivere, verso la fine del I millennio cristiano, all'opera agronomica dei Benedettini (che ne fecero dapprima una sorta di monopolio all'interno del sistema della grangia o fattoria monastica con lo sfruttamento di terreno secondo la coltura su terreni a fasce ottenuti con la tecnica dei muri a secco) di Pedona prima e di Novalesa poi ( Albintimilium...cit., p. 221 e nota ) L'olivicoltura divenne comunque già a metà del '200 attività agricola "aperta" in Val Nervia per assumere rapidamente una rilevanza storica in tutto il ponente, sin a diventare una monocoltura da esportazione col conseguente rischio che, per carestie o cattivi raccolti o malattie delle piante, le comunità, senza altre fonti di guadagno si dovessero impoverire con indebitamenti gravi.
Attorno all'olivicoltura fiorì un'attività manifatturiera complessa in cui tutto era sfruttato, fin alle sanse ed ai residui, con una regolamentazione capillare che spesso coinvolgeva gli operatori di mulini e frantoi, che potevano essere "ad acqua" (sfruttando la forza idrica incanalata nei "gombi") od "a sangue", secondo la prevalente tecnica romana, sfruttando la fatica di animali adattati a far ruotare i meccanismi delle macine con la loro forza muscolare: un pò in tutti i paesi delle valli sorgono enormi testimonianze della "civiltà e della cultura dell'olio" di cui Dolceacqua costituisce certo un esempio storico di primaria importanza (ma non si dimentichi la tradizione storica di tanti altri siti di rilevante attività molitorio in queste ed altre contrade, come in valle Argentina [area di Taggia]: da Pompeiana a Castellaro a Molini di Triora).

7 commenti:

  1. Che bella sorpresa e che belle notizie! La settimana prossima abbiamo previsto la visita al frantoio per concludere le attività iniziate l'anno scorso. Anche la parte storica della coltivazione dell'ulivo e l'utilizzo dell'olio, è argomento di quest'anno. Che ne dici se attingo dal tuo post? Questo è collaborare, anche a distanza! Ciao e grazie.

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  2. OT: nello spot "cosa ci dovrebbe essere" ho spiegato a Stella il perchè non posso comunicare con lei, ma senz'altro non è più andata in quello spazio. Quando hai occasione glielo puoi comunicare te? Grazie

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  3. Chissà quanti conoscono la tecnica dell'estrazione dell'olio adoperata fino ad una quarantina di anni fa. Parlando con gli amici mi sono accorto che sono veramente pochi. Conosco tutto il procedimento perché da ragazzino mio padre mi portava nel frantoio della società nel periodo in cui era presidente. Allora la sansa era pulitissima, perché conteneva solo il nocciolo senza le pellicine delle olive che venivano raccolte a parte nelle vasche di decantazione.

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  4. Anch'io da piccola andavo nel frantoio e ricordo tutti gli utensili che utilizzava il frantoiano e il metodo di raccolta dell'olio sia nel frantoio che sui pozzi all'esterno. Uno di questi era chiamato "inferno" dove si convogliava l'acqua sporca sulla quale si raccoglievano le bucce delle olive frante e l'olio "lavato" che si prendeva il frantoiano.

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  5. E dell'"olio d'inferno" che ne dite ? Io credo che (pulito, chimicamente modificato, colorato e chi più ne ha più ne metta) diventi poi l'olio extravergine di oliva che si compra nei Discount.
    Io non penso che possa essere qualcosa di diverso quando lo vediamo in bella mostra proposto a 2 euro circa la bottiglia, tenuto conto del costo del vetro, dell'etichetta, del tappo, del trasporto, del giusto guadagno dei vari componenti la filiera ecc.
    Una cosa ricordo è che quando andavo con il papà nel frantoio si mangiavano le piccole patate con la buccia (a peruglia) cotte sul "framegu" la sansa.
    Sono passati tanti anni ma sento ancora l'odore di quell'ambiete e il sapore.
    Indimenticabile !

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  6. Erma
    L'olio d'inferno non esiste più perché nei moderni frantoi non c'è più l'inferno.

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  7. quello che stavo cercando, grazie

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