martedì 17 novembre 2009

La medicina popolare

 

In questi tempi moderni dove la farmacopea è alla portata di tutti e dove ci è concessa  la possibilità di poter scegliere se curarci con farmaci o con metodi naturali o addirittura di poter decidere se vaccinarci oppure no contro una determinata influenza, mi viene spontanea la seguente domanda:
E un tempo come facevano?
Ero a conoscenza di un manoscritto digitalizzato su Cultura Barocca, quello Wenzel, che descrive cure da praticare per guarire varie patologie, qui potrai leggere le cure   queste si  praticavano tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo,  periodo in cui i mali più temuti erano il colera e la peste.
E a Isolabona come si comportavano?
Nella lunga documentazione redatta da Marino Cassini e da sua moglie Maria Luisa Saettone, vi è un capitolo dedicato alla medicina popolare praticata a Isolabona. Questa documentazione è stata raccolta nel 1957, e nella memoria degli isolesi erano ancore ben radicate queste pratiche che, in alcuni casi, erano pratiche assurde. Anche questa è storia e raccogliere dati su come si curavano i nostri antenati fa parte della nostra cultura popolare che non va dimenticata.
Sto conducendo alcune ricerche sulla Confraria di Santo Spirito di Isolabona, e sfogliando i libri mastro nell'archivio storico del comune, ho letto che la confraria acquistava anche medicinali, la data riportata 1860.....ma questa è un'altra storia.....


Il manoscritto Wenzel da Cultura Barocca 
[...]
 Al libro-manoscritto (dalla grafia sempre uniforme e di unica mano, salvo che per tre fogli volanti di grafia sempre diversa tra loro e rispetto al testo) si è dato nome WENZEL poiché a guisa di frontespizio vi è stato inserto un foglio volante, delle stesse dimensioni di quelle del registro, recante la dicitura, con grafia diversa sia da quella del testo del manoscritto che della ricetta veterinaria che d'altro foglio ancora,:
"LIBRO DE L'ILL.MO SIGNORE WENZEL TEDESCO
si mettano nel libro anco le Note, da comunicarsi per quando si daranno li ordini, contra li Unguentarii di vie perché non dieno tormento contra la gente di questo nostro luogo del Perinaldo che va con le bestie mulattine in terra foresta, all'oltregioghi e sinanco in Livorno, allora che è tempo delli limoni per li Ebrei ".
Del tedesco Signor WENZEL nulla è dato sapere ed il foglio neppure reca la data: non si può nemmeno scartare l'ipotesi che il foglio fosse stato fornito a titolo di nota da inserire in altro prontuario o libro, magari fornito proprio da un certo Signor WENZEL di cui nulla però rimane negli archivi del comune.
All'analisi il libro-manoscritto è invece sicuramente di autore italiano e di buona cultura scientifica, quasi senza ombra di dubbio un medico costantemente aggiornantesi sulle nuove procedure terapeutiche quanto sull'evoluzione della legislazione in materia igienico sanitaria (oltre che, specificatamente, documentato sulla malattia più temuta del primissimo Ottocento, cioè il colera): e per intendere ciò basta compulsare l'indice delle voci e leggere le varie parti del testo.
Da vaghi segnali lasciati dall'anonimo estensore del manoscritto sarebbe da pensare proprio al medico fisco operante a Perinaldo, tra fine XVIII e primi XIX secolo: di cui è stato suggerito un cognome GIBELLI ed uno stato di lontana parentele con il futuro storico intemelio Girolamo Rossi: del lavoro -di proprietà privata- si custodisce una riproduzione elettronica presso il "MUSEO DELLA CANZONE DI VALLECROSIA".[...]

 

Medicina popolare antica

Di Marino Cassini e Maria Luisa Saettone

La  farmacopea moderna ha, lentamente,  finito per "uccidere" tutti quei mezzi empirici di cui la popolazione si è avvalsa  per far  fronte ai mali del corpo. Poco è  rimasto se non quelle cure a base di erbe che, pur non essendo troppo ortodosse, possono  venir accettate in base ai dettami della Scuola salernitana.  A  sparire totalmente sono stati quei metodi tanto strani assurdi e spesso contrari ad ogni norma igienica che ci si chiede se non sia stata una mente malata a idearli.
Si è, comunque, tramandato il ricordo di alcune cure che, per amor di cronaca, è  interessante ricordare.
Di  due di esse, come osserva L.T. Belgrano, negli Atti della  Società Ligure di Storia Patria (vol. XIX, p.645),  si  trova traccia  persino  in  un codice  genovese  di  medicina e  scienze occulte.  Si tratta  del modo  di resistere  al dolore. Il  primo recita:  "Accipe lac mulieris,  videlicet matris et  filiae dictae matris, et isti duo lactes simul miscantur deinde dentur  in  potu antequam  accedat ad turmentum: et non timebit".  Una ben strana medicina da somministrare a  coloro che stavano per essere torturati!
Il  secondo serviva nelle  prove ordeali. G.Rossi riferisce che  anche in  Val Nervia  un accusato  poteva dimostrare  la  sua innocenza  in un modo semplice:  afferrando con una mano  un ferro rovente.  Se  il ferro  non lasciava traccia  era libero; in  caso contrario  doveva subire la pena. Ebbene, per superare tale prova, si  legge  nel  manoscritto genovese,  "accipe  sucum  mircoyrolle [specie di euphorbia] et unge cum eo manus tuas optime  et  accipe  ferrum in manum et non nocebit".
Dagli  atti del notaio De Amandolesio, citati da N. Peitavino nel suo libro Intemelio (p.140) ricaviamo  due  altri  sistemi curativi  che servivano l'uno ad  attutire i dolori del  parto e a preservare la puerpera dalla morte; l'altro ad arrestare un flusso di sangue.
Per  il primo si doveva  scrivere sopra un pezzo  di carte il noto quadrato magico

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Bastava   legare    il   foglio  alla   coscia  destra  della  partoriente e l'effetto era sicuro.
Per il secondo rimedio occorreva una gallina che non facesse uova e dalle ali si faceva uscir sangue con cui scrivere sul polso e  sul  capo  dell'ammalato,  mediante  una  fraschetta  di  ulivo benedetto, le seguenti parole "Consumatum est".
 Il suddetto sistema con la gallina, un  po' variato, serviva anche come rimedio contro le cadute. Si prendeva un gallo, gli si tagliava un pezzettino di cresta, si raccoglieva in un  cucchiaio il  sangue  zampillato  che,  ancora  caldo,  si  somministrava al paziente. L'operazione si ripeteva per diversi giorni.  Quando  il gallo non aveva più cresta, l'ammalato era guarito,
Altro  metodo in uso a  Isolabona era quello di  porre sopra una ferita aperta una ragnatela per fermare il sangue. Ho visto una vecchia metterlo in atto per un taglio alla mano. Un paio di giorni appresso la ferita si era cicatrizzata.
Altri sistemi.
-  Contro i vermi  si faceva odorare  ai bambini un  tipo speciale di  erba rua (Ruta graveolens)  dell'aglio  pesto; oppure  si metteva  loro al  collo una  collana fatta  con  spicchi d'aglio; o  ancora  si  faceva loro  bere  un  cucchiaio di  succo  di erba caramandrina
- Contro gli orecchioni esisteva un curioso sistema.  Si  prendeva un grosso sacco sporco internamente di farina, vi  si  introduceva la  testa del bimbo e  si agitava il sacco;  a cura terminata,  il sacco veniva buttato giù dalle scale.
-  Per   guarire u  mää du grupu" (difterite) si faceva bere al paziente un disgustoso intruglio composto di urina, limone spremuto, vino bianco moscatello e olio.
-  Per il mal di denti bastava applicare sulla guancia  dolorante un impasto di lumache o meglio ancora di durmigluse , piccoli insetti fasciati da un tegumento chitinoso i quali, appena toccati si appallottolano come ricci).
-  Oppure si pestava aglio e lo si applicava sul polso opposto alla guancia dolorante. Il mal di  denti dopo alcune ore  passava.  Il contadino  che  mi spiegò  il sistema mi  fece pure vedere  il suo polso  su  cui,  a distanza  di  anni,  si notava  ancora la pelle   bruciata dai solfuri contenuti nel succo dell'aglio.
-  Per  guarire  le risipole si poneva su di esse una moneta e poi con  un coltello o un  anello benedetto si facevano  piccoli segni   segni attorno alla moneta, recitando contemporaneamente il  "Confiteor".
- Per accelerare un processo infiammatorio occorreva  porre  sulla parte malata dello sterco di vacca.
-  Le ecchimosi guariscono se  su di esse si  applica un impiastro composto di sängure spargure (Parietaria officinalis), föglie de levantùn" (Verbascum thapsus) e aceto.
-  Per accelerare lo  sviluppo della rosolìa  il fanciullo  veniva avvolto in un drappo rosso.
-  Per guarire u russignö (crampo alla mano) era d'uopo legare al polso un filo di lana rossa.
-  Per mali interni  era consigliato di  inghiottire lumache  vive   (bagiäire).
    Per  quanto esistessero altri sistemi empirici, mi limiterò a citare   ancora quelli riportati da  Dino Taggiasco nel suo  libro Bordighera e uno raccolto dalla viva voce del guaritore che, ancora cinquant'anni fa lo metteva in atto.
Racconta il Taggiasco che i colpi di sole "si guarivano da comari specializzate alle quali occorreva comunicare preventivamente il nome del sofferente. La comare faceva bollire mezzo pignatino d'acqua e vi metteva dentro tre grani di sale da cucina, accompagnando ognuno con tre Ave Maria e  diversi  Oremus; poi  capovolgeva  il  pignattino in  un  piatto.  Dopo 36  ore  lo toglieva con la mano sinistra. L'aria esterna, occupando il vuoto, emetteva naturalmente un piccolo sparo, il cosiddetto "petu". Dalla forza del "petu" la comare giudicava se la persona - indubbiamente guarita - poteva avere o meno conseguenze gravi".
Altro  sistema consisteva nel porre sulla testa dell'ammalato un asciugamani bianco, piegato più volte, e su questo veniva posto rovesciato  un  bicchiere  pieno  a  metà   d'acqua.  Nell'acqua si formavano bollicine  che salivano  in  superficie, tanto  da dare l'idea  che  il liquido  bollisse. Dopo una  diecina di minuti  il   colpo di sole spariva.
 Sempre  al  Taggiasco dobbiamo il ricordo di questa cura  per  bambini effettuata  da una donna  di Ospedaletti. "La  Cumà  faceva  alcuni segni  di croce sulle mammelle della madre e sul capo del piccino. Poi  appendeva al collo di questo un sacchetto con tre, sei oppure nove grani di sale da cucina, a seconda della gravità  del male, ed ordinava   un  'caffè '  fatto  con  ossi  di  pesco  abbrustoliti, qualunque  fosse la  malattia, anche  se il  piccino avesse  avuto   putacaso un'unghia incarnata od un foruncolo su un piede."
L'ultimo  sistema empirico  per curare malattie comuni era la "misurazione dello stomaco", cui ho personalmente assistito.     Nella  valle vi era una sola persona capace di effettuarlo, un certo signor Battista C. di Isolabona.

Quando  uno accusava sovente mal di stomaco veniva curato nel seguente modo: lo pseudo medico prendeva uno spago lungo tre volte la  distanza  che andava  dal suo gomito  alla punta del  suo dito medio.  Detto  spago  lo si  consegnava  al  paziente affinché   lo tenesse  premuto  sul petto.  Poi con esso eseguiva per tre volte la  stessa misurazione  sul paziente. Se le  tre misurazioni erano esatte  il male  era di poco conto e di sollecita guarigione.  Se, invece, lo spago non bastava o ne avanzava, significava che lo stomaco si era abbassato  o  rialzato  della  stessa  lunghezza  dello  spago che mancava o che cresceva.  In tal caso bisognava replicare  per  tre giorni  le misurazioni affinché lo stomaco andasse alla giusta altezza.

6 commenti:

  1. Dopo aver letto tutti i "rimedi" di una volta devo dire che sono molto contento di essere nato in quest'epoca :-)

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  2. Ora è più semplice usare i farmaci per alcuni versi. Ma è SEMPRE più salutare?

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  3. non si può non sorridere! penso a tutta quella gente che sarà passata a miglior vita, grazie a questi rimedi! ci credevano, non avevano cultura e non c'erano medicine...ciò che mi stupisce è che ora ci siano ancora persone credulone che si affidano ai cosiddetti "santoni" che praticano cure simili...

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  4. Venivano chiamati i "rimedi della nonna", e funzionavano pure!
    Ogi ci conviene curarci da soli, anche le nonne di una volta non ci sono più...

    Un caro saluto.

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  5. Originale, Rob! Quello dell'impiastro di aglio per i vermi lo conoscevo. In campagna è un rimedio ancora usato da queste parti.

    Alcuni rimedi che hai riportato sono veramente agghiaccianti!!!

    Brrr!

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