martedì 3 novembre 2009

Quattro Novembre...per non dimenticare i ragazzi del 99

                                                         Mio nonno Giuseppe Borali

Domani sarà il quattro novembre, data storica della fine della prima grande guerra.
Come sapete, grazie all'amico e storico Paolo Veziano, che ha trascritto il diario di prigionia del nostro compaesano Mario Cassini, custodito fino a oggi dal nipote Gianmario, possiamo leggere le testimonianze di un prigioniero isolese in Austria.
È una testimonianza cruda, che risalta l'aspetto umano di questa terribile guerra.
Sono passati ben 91 anni dalla fine di questa atroce guerra, ma leggere questa testimonianza mi fa riflettere, non posso fare a meno di pensare a mio nonno che come tanti altri giovani hanno dovuto lasciare le famiglie e sopportare stenti di ogni genere.
Mio nonno, come Mario Cassini, è tornato dalla sua famiglia portandosi dentro chissà quante pene, fu il prezzo della sopravvivenza, prezzo che non hanno potuto pagare tutti quei "ragazzi del 99" che a soli diciotto anni furono mandati in battaglia e che hanno perso la vita per questa nostra Italia, una generazione, quella del 99, che fu quasi sterminata.....


Dal diario di Mario Cassini


[...]
Stò compiendo il 14° mese di questa mia vita collegiale, dopo aver passato tanti guai nelle lunghe giornate del scorso estate e nelle più lunghe ancora del rigido inverno, mai hò pensato di radunare una serie di questi indimenticabili momenti, solo adesso hò deciso di ricordare una collezione di episodi i quali presi dal vero dove assistetti di mia presenza e dove toccai di mia pelle.
Questo disgraziato foglio il quale ci inchiostro queste righe di dolore, mi rincresce che sia carta straccio, vorrei che fosse carta pecora che non avesse tanto a lacerarsi.
Naturalmente quando un giorno sarò nel mio ridente paese non vorrò più ricordarmi di queste angosce che stò ora passando, ed di miei figli potranno leggere con giudizio la mia vita, così potranno odiare, maledire e vendicare quanto sofferse suo padre.
Del poco e debole cervello che ancor mi è rimasto per le peripezie passate (cioè: fame freddo, pidocchi, calciate di fucile e bastonate) ricordo ciò che nessuno scrittore, nessun chiaravalle ha mai osato a descrivere, ha mai pensato ciò che avrebbe potuto passare un prigioniero italiano in Austria.
Voi hò legitori: non state a dar del matto a chi scrisse queste righe, piuttosto pensate che le parole che dice un prigioniero sono altrettanto preziose di quelle che sta dicendo un padre quando muore assistito dai suoi figli.
La storia d’Italia ricorda le cinque giornate di Milano, io ricordo le otto giornate di Trento, dove là provai la disperata fame.
Si trovavano là circa 25 mila prigionieri fatti in quattro hò cinque giorni, niente c’era di preparato, solo grandi gabbie di filo di ferro spinoso, dove in ognuna di esse stavamo 500.
Il rancio una volta al giorno. All’avvicinarsi di questo assomigliavamo iene in un seraglio quando vedono in mano al domatore un pezzo di carnaccia di vecchio asino che dopo se la divorano rabbiosamente.
Le sentinelle battevano senza pietà per tenerci all’ordine perché oltre il poco rancio qualche d’uno rimaneva senza.
Eravamo tutti da una parte, e per due, passando uno prendeva tanta polenta come un limone, l’altro un mescolo d’acqua calda con dentro poche grane d’orzo ed ambedue si passava dalla parte opposta dividendo minutamente quel magro cibo (cotto senza sale) che non sarebbe neanche bastato ad un pulcino.
Il sole era cocente, eravamo di Maggio, non c’era neanche l’ombra d’un filo d’erba, eravamo sdraiati come tante lucertole, ed ognuno di noi ricordava in Italia il buon rancio che si buttava via, pensavamo alle nostre famiglie le quali erano senza nostre notizie ed il tardo momento che avrebbero ricevuto, e pensavamo anche che sin al domani nel nostro corpo non c’entrava nulla.
L’acque da bere era poca e cattiva.
La notte era rigida.
Alla mattina ci trovavano a gruppi come tante nidiate di topi coperti di brina, stretti stretti senza esserci mai conosciuti.
Chi aveva la mantella per coprirsi e chi era vestito in tela, figuratevi con quella pancia vuota come si dormiva bene.
Il 6° e 7° giorno avevamo già il mento affilato per il combattere questi tre nemici cioè: caldo freddo e fame.


Sigmundesbergh
Il 25 ci portarono al concentramento a Sigmundesbergh camminando due giorni in treno sempre in salita.
Il primo giorno sempre traversando boschi d’abeti senza nulla d’abitato, il 2° giorno tutto pianura, campi di segala, parmora e patate e null’altro.
Il freddo era intenso; il concentramento era situato in una vasta pianura, vi erano oltre cento baracche ben ordinate, in ognuna di esse stavamo in 300.
Il cibo era meno che a Trento.
Alla mattina un piccolo mescolo di tè, senza rum e senza zucchero, era acqua calda, a mezzogiorno come pure alla sera un mescolo di brodo di poche patate e pepe, quando uno pescava due patate uno era certo che rimaneva senza.
Alla mattina verso le otto davano una grizza di pane di mezzo chilo in due.
Quando la corvè si vedeva da lontano che portava questo pane si radunavano tutti sulla porta della baracca come ragazzini dicendo arriva il pane come se in alto mare avessimo ricevuto un bastimento che dovesse portare un genitore.
Dopo la distribuzione uno tagliava l’altro sceglieva chi tagliava faceva le parti eguali, perché se una parte era più grossa a questo non ci rimaneva di certo.
Malgrado questo fosse di grano turco con patate e paglia macinata, farina e ceci era assai buono, e appena mangiato v’assicuro che una formica non avrebbe trovato una briciola.
Due volte la settimana, alla mattina prima del pane, davano ad ognuno un’aringa, subito se la divoravano testa e coda senza badare se odorasse ne se puzzasse e senza accorgersi se fosse ne maschio ne femmina.
La nostra vita era di dormire, ma sogni lunghi non se ne poteva fare; eravamo sempre coricati e nell’alzarsi somigliamo ad ubriachi, ci doleva la testa, la vista ci vedeva torbido, le tempia somigliava averci due chiodi, e tante volte nell’alzarci si cadeva a bocconi, questo era la gran debolezza.
Ci siamo messi diverse volte a rapporto per l’aumento del rancio ci risposero che l’avrebbero ancora diminuito.
Chi mangiava erba e chi mangiava quello che trovava.
Pur’io gli occhi mi guidavano nella mondizia che gettavano i cucinieri a ricercar residui e guscie di patata per sfamarmi, ma un po’ di buon senso mi disse che questo non mi avrebbe salvato e le buttai.
Però sett’otto non seppero frenarsi di mangiare patate crude ed erba morirono; i dottori ci fecero l’utomia e non ci trovarono altro che quel crudo vegetale e constatarono il caso per via di questo, il suo corpo indebolito e deperito non poté digerire e questi poveretti finirono i suoi giorni.
Durante la distribuzione del rancio chi aveva la gavetta e chi aveva niente.
Certi si procuravano qualche latta, chi si faceva qualche scatola di legno, e chi aveva gniente?
Il proverbio dice: gabbatu u santu passata a festa, ma prima di rimanere a senza si levavano una scarpa e se ne servivano da gavetta dicendo ai cucinieri: metti quà s’altrimenti facevano il salto, in seguito poi hanno dato gavette, cucchiai ecc. [...]

9 commenti:

  1. Pagina di Storia che dovrebbe rimanere nella memoria dei più giovani, coscienza storica da non perdere...
    Buona serata, Roberta.

    Rino.

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  2. E' giusto commemorare per non dimenticare.
    Buona serata

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  3. Grazie Roberta per questa cruda testimonianza!

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  4. ho imparato a sentire il 4 novembre da quando ho lavorato in un centro anziani ascoltando i racconti di chi l'ha vissuto

    buona serata

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  5. Io ricordo le storie che mi raccontava un'amico di mio nonno che era riuscito a ritornare vivo dalla ritirata di Russia della seconda guerra mondiale.
    Avevano passato di tutto ma quelle persone avevano ideali e voglia di lottare e di ricostruire che ora non vedo più nei giovani. C'è proprio bisogno della guerra per tirar fuori dall'apatia le persone?

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  6. sono d'accordo con angelo azzurro. è giusto commemorare...
    buon mercoledì ^________^

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  7. una testimonianza cruda, ma veritiera che stringe il cuore.
    è giusto ricordare il sacrificio di tanti giovani soldati che hanno conquistato la nostra libertà a così caro prezzo!!!!

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  8. Giusto commemorare questa giornata come ho scritto anche in altri post.Come molti anch'io mi ricordo le storie che mi raccontavano i miei nonni,di quandi loro amici perivano per colpa della guerra e della fame;veramente erano tempi bui .Speriamo che si ritorni a certi valori che oggi ahime sono scomparsi.Ti auguro una buona serata a presto

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